SANNHET + SUM OF R, 30/4/2018
Zagabria, Klub Močvara. Grazie per le foto a Karlo Krešimir Kaštelan di Metal Jacket Magazine.
Giornata, strana, questo lunedì. Passo ben due confini in modo da beccare per la prima volta due gruppi che seguo da diversi anni, abbastanza cazzuti da essere chiamati al Roadburn e al Doom Over Leipzig, ma ancora non così grossi/conosciuti da essere visti agilmente in Italia (due giorni prima erano a Modena, ma Zagabria per me è più vicina; a proposito, grazie Google Maps). Si tratta di un accoppiamento inusuale, perché Sum Of R e Sannhet forse sono accomunati solo dal non appartenere davvero a un genere specifico e dall’essere ascoltati in prevalenza da chi preferisce roba pesante, o almeno così credo. Di sicuro, se guardo le etichette per le quali sono usciti, mi rendo conto che Profound Lore (Sannhet) non avrebbe problemi a prendere i Sum Of R, così come Utech (due album dei Sum Of R in catalogo) qualcosina coi Sannhet secondo me combinerebbe volentieri, quindi l’accoppiata ha senso, ma presume un pubblico di ampie vedute, e non sempre è così.
Il Klub Močvara, grazie a Satana, rispetta gli orari, inizia presto e ha le dimensioni perfette per questo tipo di concerti, oltre che una configurazione ideale. La posizione non è subito intuibile per chi viene da fuori, ma è altrettanto vero che basterebbe un solo cartello per far deviare al momento giusto i visitatori dallo stradone principale, il primo che si può imboccare per entrare nella capitale croata.
Iniziano i Sum Of R: il nuovo assetto live vede Reto Mäder al basso (ma chiudendo gli occhi potremmo pensare sovente a una chitarra) e a una pletora di pedali insieme al nuovo Fabio Costa alla batteria e a una serie di effetti. Il sound è quello più doomeggiante di dischi Lights On Water e Ride Out The Waves, ma i due cercano di salvare anche l’anima ambient del progetto, ben percepibile nell’ultimissimo Orga, uscito l’anno scorso per – non a caso – Cyclic Law e Czar Of Crickets. Esecuzione e intesa tra i due sono notevoli: il concerto assume i tratti di un rituale molto buio, asciutto e d’impatto. Immaginavo, sulla base delle testimonianze in rete, che Mäder optasse per soluzioni più in your face e posso dire – da fan – di essere stato accontentato in tutto e per tutto.
Tocca agli americani, adesso: sul palco hanno la caratteristica di presentarsi allineati, con il batterista che – in assenza di un cantante – sembra quasi sostituire il frontman, coadiuvato in questo da un uso delle luci e dei visuals molto invasivo. In effetti, come già si intuiva su disco, è lui, col suo eclettismo e la sua imprevedibilità, a essere l’ariete della band, supportato dal bassista; il chitarrista molto spesso è un tessitore di atmosfere, pur portando a sua volta degli affondi. I Sannhet pescano, prendendosi quasi zero pause, soprattutto da So Numb (2017) e Revisionist (2015): il pubblico apprezza, ma non riesce mai a inserirsi per applaudire e appare quasi stordito dal loro modo di suonare travolgente. L’enigma Sannhet, a livello musicale, non è ancora risolto, e questo è un punto a loro favore, perché significa che hanno trovato qualcosa che è solo loro: si sente che sono partiti da un certo tipo di black atmosferico americano e che hanno un debole per post-punk (in molti sottolineano come il loro ultimo produttore abbia lavorato con gli Interpol) e post-rock (65fivedaysofstatic, forse?), ma la sezione ritmica non dà sul serio alcun riferimento fisso. Affronto le tre ore del viaggio di ritorno con grande leggerezza e una maglietta nuova.