Samsara Blues Experiment: capelli lunghi, pantaloni a zampa d’elefante e vibrazioni da vendere…
I Samsara Blues Experiment sono saltati sul loro tappeto magico e sono tornati in Italia per un concerto durante il Tube Cult Fest a Pescara. Sono stati in scena sabato 19 aprile 2014, prima di tornare verso Nord e poi dirigersi al Desertfest a Londra. Sono stati loro, infatti, una delle attrazioni internazionali che hanno animato la sesta edizione del festival, evento ormai affermato, per quanto riguarda doom-stoner-psych, sul suolo patrio. Quindi la scusa della loro “calata” è stata più che buona per parlare – e far conoscere a chi non la conosce già – di questa band berlinese eccellente, che suona da un po’ di anni rock psichedelico pesante, contaminato dalle varie passioni – musicali e non – che animano i suoi membri. Ecco di chi stiamo parlando: Christian Peters a voce e chitarre (più sintetizzatore e sitar), Hans Eiselt alle chitarre, Richard Behrens al basso e Thomas Vedder alla batteria. Sappiate che amano il chinotto!
Ci facciamo raccontare dal frontman (e fondatore) come è andata e dove sta andando (e dove porterà i suoi fan) la loro avventura musicale. Trovate altre informazioni fondamentali e tutta la musica possibile sulla homepage della band, su Facebook e su Bandcamp.
Ciao Christian! Non so perché ma l’idea di voi quattro che, in questa primavera bellissima, in piena esplosione, venite a suonare giù in Italia, in centro Italia, al Tube Cult Fest di Pescara, mi sembra grandiosa. Cioè, non potevate scegliere momento migliore… (sfortunatamente proprio nei giorni del weekend di Pasqua, quando questi rocker erano in Italia, il maltempo ha imperversato…, ndr). La vostra musica è esplosiva, lussureggiante, ma anche delicata ed evocativa, piena di sfumature eppure percorsa da un flusso di energia rigenerante, come la stagione del risveglio della vita, carica di aspettative. Del resto, con un album che si chiama Waiting For The Flood…
Ci racconti come siete arrivati a forgiare il vostro stile pesante e seducente allo stesso tempo? Chi e cosa vi ha ispirato e vi ispira, per la musica e per le parole?
Christian Peters: Ciao! Mi piace l’abbinamento con la stagione, e spero sinceramente di riuscire a tener vivo questo “flusso di energia rigenerante” il più possibile! Ho avviato Samsara Blues Experiment dopo la fine dell’esperienza precedente con Terraplane e, a seguito di una lunga ricerca per trovare le persone più adatte per il nuovo progetto, si è giunti a questa costellazione al termine del 2008. All’inizio eravamo senz’altro influenzati in gran parte da band del giro stoner, come Colour Haze (del periodo intermedio), Om e, in modo particolare, Mammatus. Aggiungiamoci anche una certa dose di influenze da parte di gruppi più o meno ovvi degli anni Sessanta/Settanta. Però noi non abbiamo mai cercato di far prevalere una sola impronta o suonare troppo come uno o l’altro di quei gruppi di riferimento. Mi sentirei di dire che siamo stati e siamo influenzati da tutto quello che ci circonda, non solo ciò che ci piace, ma anche, più in generale, le cose della vita di tutti i giorni. Cioè, come si fa a non essere una band psichedelica se devi vivere in una città come Berlino, piena di cose fastidiose (tutta questa gente strana, la folla assurda della S-bahn, gli ingorghi stradali)? Devi fuggire ogni tanto in un Psychedelic Wonderland!
Bella questa Berlino “infernale”! Mi sa che saremmo in parecchi ad essere tentati di fare cambio… Ma hai certamente ragione, c’è sempre bisogno di una via di fuga terapeutica. Torniamo alla musica dei Samsara Blues Experiment. Anche se dediti alla psichedelia, voi avete sempre avuto un suono abbastanza pesante. A novembre 2013 avete pubblicato Waiting For The Flood, il vostro terzo album in studio, intenso ed atmosferico e fatto di brani lunghi. Waiting For The Flood arriva dopo l’impatto a volte decisamente “metal”, delle tracce brevi e dirette di Revelation And Mystery (2011), gran bell’album potente e sorprendente. Cosa vi ha spinto a tornare a sviluppare il vostro lato psichedelico (tipico del vostro debutto Long Distant Trip) nelle suite vigorose ma dilatate del nuovo?
La mia intenzione iniziale per il nuovo disco era di fare solamente due tracce molto lunghe e basta, ma in realtà noi non ci mettiamo mai lì a pianificare le cose a tavolino. L’unica cosa chiara è che, alla fine di tutto, quelle canzoni devono occupare lo spazio dei 45-50 minuti del supporto fisico dell’lp. Il resto è flusso creativo.
Ecco, a proposito di questo flusso creativo… I vostri brani più psichedelici sono spesso lunghi anche oltre dieci minuti (e perfino oltre 22 minuti, come nella suite monumentale “Double Freedom”). È chiaro che jammare è parte importante del vostro stile, ma è anche vero che le vostre ballate psichedeliche, anche se dilatate, sono fondamentalmente ben strutturate. Intendo, noi che ascoltiamo non ci perdiamo, perché c’è un flusso narrativo capace di catturare la nostra attenzione e di accompagnarci attraverso le storie che ci narrate. Poi, specialmente nel nuovo album, a volte i vostri brani mi sembrano avere anche momenti quasi prog, pur mantenendo sempre la freschezza e l’immediatezza del vostro lato fuzz-stoner rock. È davvero così? E come fate a scrivere le canzoni? Avete uno schema preferito che seguite? Ed è cambiato qualcosa nella scrittura dell’ultimo album rispetto a quanto fatto prima?
Anche in questo caso c’è meno spazio lasciato al “pensiero”, nel senso di “progettazione”, e più al “sentimento”, in termini di fare ciò che sentiamo giusto. Cioè, se sentiamo che un brano è troppo corto o lungo, lo rielaboriamo, lo rifiniamo… Ma in effetti non facciamo molto jamming, è più come mettere insieme un puzzle in modo intuitivo, mettere insieme quei pezzi che a un certo momento si trovano lì vicini l’un l’altro. E, sì, in questo periodo ci sentiamo più che mai ispirati ed influenzati dalla musica progressive. L’elemento stoner è diventato solo una parte di un intero.
La componente “pesante” nella vostra musica rende i Samsara Blues Experiment una band decisamente d’impatto in ambito psichedelico, nonostante i frequenti passaggi atmosferici e sognanti e l’adozione occasionale di sonorità space con il sintetizzatore (oppure esotiche tramite l’uso del sitar). Qual è, secondo voi, il lato che i vostri fan apprezzano di più? Quello hard o quello intimista? E tra i vostri album, ce n’è uno che vi piace di più e di cui siete più soddisfatti? Intendo, non necessariamente per gli esiti commerciali, ma anche solo per come è andata in studio, oppure perché avete fatto qualcosa di nuovo…
Ancora non comprendo i motivi dell’esaltazione per il nostro album di debutto Long Distant Trip, non solo per il successo commerciale che ha avuto, ma anche per il fatto che continua a piacere a tanti e che sarebbe incluso tra l’elenco degli album “stoner” più influenti. Certo, in quel primo album ci sono i brani monumentali… ma tutti i dischi successivi, secondo me, hanno in loro momenti o elementi di maggior pregio. Personalmente preferisco Revelation & Mystery a tutti gli altri. Ma ecco, il fatto è che c’è parecchio da scegliere in Samsara Blues Experiment, c’è una grande varietà, e non ci sono poi così tante band che la offrono. Sono un recensore musicale ed un appassionato di musica da tanti anni ormai, sono convinto di quello che dico. Credo che ci sia tanto da scoprire per tutti e per ciascuno nei Samsara Blues Experiment: riff pesanti e melodie delicate, canto ed urla, brutalità e tenerezza. A voi decidere.
Come si dice, una band per tutte le stagioni! Aggiungiamo anche che tra i vostri elementi vincenti, oltre ai riff, c’è anche la parte vocale, per me “da dipendenza”. E non sono la sola a dirlo! Christian, il tuo stile canoro e la tua voce calda e intensa sono unici, senz’altro, ma richiamano, almeno per me, un po’ Jim Morrison, un po’ Jimi Hendrix e in qualche maniera anche un po’ Glen Danzig. La tua voce mi sembra quasi fare da collegamento tra le varie anime stilistiche della band. Come hai deciso di dedicarti al canto nei Samsara Blues Experiment dopo l’esperienza dei Terraplane in cui non cantavi? Ed il fatto di cantare, di interpretare ciò che scrivi, ha influenzato anche lo stesso modo di comporre le canzoni? Oppure sono state letture o altri fatti che ti danno ispirazione e forza espressiva?
Si può pensarla in quel modo, ed anche che la mia voce è più limitata della varietà di stili che abbiamo scelto di suonare. Alla fine il mio modo di cantare resta più o meno lo stesso, mentre il nostro stile musicale cambia un po’ da album ad album o da brano a brano. Ho deciso di mettermi a cantare perché in qualche modo ho sempre desiderato farlo, solo che nei primi anni della mia vita musicale ero molto timido. Da ragazzo facevo fatica a parlare con le persone. La vita mi ha trasformato parecchio da com’ero allora. Ho passato anche periodi molto duri prima di trovare me stesso e poi anche la mia voce. È un processo evolutivo attraverso cui tutti passiamo. La maggior parte delle volte mi sento bene e a volte perfino sollevato quando riesco ad esprimermi nell’atto di cantare quelle canzoni. Alla fine si tratta di questo. Come ho detto prima, la vita nel suo insieme è la principale fonte di influenza. Mi sembrerebbe assurdo nominare cantanti o gruppi che mi hanno influenzato negli ultimi 33 anni, sarebbe troppo, ma, se aiuta, adoro i Doors e non mi piace molto Danzig…
Quali altri lati o interessi artistici state sviluppando nei progetti musicali in cui voi ragazzi siete coinvolti al di là di Samsara Blues Experiment?
Hans (Eiselt, l’altro chitarrista, ndr) recentemente ha pubblicato l’album con la sua band Rodeo Drive. Nel frattempo io mi sono comprato alcuni strumenti strani (*) e sto cercando di imparare a suonare il pianoforte seriamente, cosa che si sta rivelando molto ardua…
(*) Christian si riferisce al sitar, che, impiegato occasionalmente nei Samsara Blues Experiment, diventa protagonista nel suo progetto solista Soulitude (qui se ne parla estesamente).
Christian non lo dice, perché è una persona corretta e vuole evitare il cosiddetto conflitto d’interessi, e quindi lo aggiungo io: anche che il bassista Richard Behrens milita in una bella band d’impronta retro-rock che si chiama Heat, il cui album di debutto è uscito nel 2012 tramite l’etichetta di Christian, Electric Magic Records.
Avevo letto in una vostra precedente intervista che apprezzate in modo particolare l’intimità degli eventi più contenuti, dei concerti più piccoli. Però è anche vero che, nonostante non amiate le folle, le folle amano voi! Roadburn, Herzberg, Yellowstock, Desertfest tempo fa e anche quest’anno… per non parlare delle migliaia di fan che vi stanno aspettando in Sud America. E non dimentichiamo l’evento in tv, il concerto al Rockpalast immortalato al completo sia nel bel video che si può vedere in rete, sia tramite l’uscita del cd in edizione limitata all’inizio del 2013. Come ci si sente mentre si suona a eventi così grossi? Te lo chiedo perché voi ragazzi sembrate così rilassati mentre siete concentrati a creare riff dopo riff dopo riff …
Ci piacciono senz’altro gli eventi più contenuti. Concerti con 300 persone al massimo sarebbero la situazione ottimale. Mi sento un po’ a disagio quando sono separato dalla gente. Non è molto bello quando ci sono transenne e 5-10 mila persone davanti o, nel peggiore dei casi, quando la gente è seduta. Abbiamo avuto esperienza delle due cose, concerti con più di 2000 persone e perfino un evento in un teatro, che forse è stata la cosa più strana in assoluto. Quello che intendo è che in quelle situazioni non riesci a creare alcuna connessione con il pubblico. Mi piace molto poter guardare le persone che stanno di fronte a me mentre seguono la musica, ballano e cantano con noi i ritornelli di alcune canzoni. È così bello! “Noia da Superstar Psichedelica”, vero? Riguardo allo stato d’animo, sappi che prima dei concerti sono agitato all’inverosimile, corro in bagno dieci volte in mezz’ora, ma poi sul palco, ed ancora di più dopo le prime due canzoni, la tensione mi scende definitivamente. Concerti grossi o piccoli, non importa, va sempre più o meno così. Ma mi esalta tantissimo quando vedo la gente che viene coinvolta dalla nostra musica e si diverte.
E, dimmi, cos’avete provato quando un vostro concerto è stato trasmesso su una tv nazionale? Il video è fatto molto molto bene, l’audio pure e, come in altri casi nelle vostre esibizioni, la vostra musica, che è abbastanza “stratificata”, risalta nella sua ricchezza e forza seducente, da pelle d’oca, come su disco (in cui ovviamente si ha più modo di intervenire con overdub per strumenti che non potete usare contemporaneamente sullo stage). Tra l’altro, l’idea di una tv nazionale che sceglie di organizzare e trasmettere un vostro intero concerto mi fa inchinare al buongusto del manager…
Ancora mi chiedo per quale strana combinazione di cose siamo finiti a fare quello show, ma deve esser stato davvero Wolf, il proprietario dell’etichetta World In Sound, a persuadere il boss del Rockpalast, il quale, alla fine del nostro concerto, deve aver detto qualcosa come “sono contento che la gente sia rimasta nella sala”! E ciò illustra perfettamente cosa penso di quell’evento. È il “mainstream”, sono contento di averlo provato una volta, ma non perderei altro tempo parlando di questo, se non per aggiungere che ai vecchi tempi sì che avevano avuto un gran buon gusto, visto che la prima trasmissione al Rockpalast è stata aperta da Rory Gallagher!
Capisco sì cosa vuoi dire. Ad ogni modo le riprese sul palco sono molto belle ed è piacevole per tutti i fan lontani. Voglio, a tal proposito, continuare con l’attività live perché voi avete iniziato quasi come dei giramondo! Cioè, essere coinvolti in un tour negli USA dopo l’uscita del prima demo… una bomba! Quindi, com’è stata quella vostra primissima esperienza dall’altra parte dell’oceano? Deve esser stata sensazionale…
Sì, lo è stata. Quasi in modo ovvio, direi! Hans aveva 19 anni quando l’abbiamo fatto. Per la sua età là non poteva nemmeno comprare la birra. Ma non importa, era sempre ubriaco lo stesso! Abbiamo visto così tante cose. Spesso a ripensarci mi sembra di esser stato su un altro pianeta.
E dopo tutti questi anni e di esperienza com’è cambiato il vostro modo di porvi o di affrontare la musica live?
Bella domanda! Immagino tu ti riferisca ai pochi concerti annunciati per il 2014. Dopo il tour europeo dello scorso novembre, davvero lungo e stancante, abbiamo sentito il bisogno di un po’ di riposo. Abbiamo passato gli ultimi cinque anni ad “alta velocità” e, personalmente, avevo la necessità di una pausa di riflessione. Inoltre ho avuto un crollo nervoso mentre eravamo in tour a novembre, cosa che mi ha letteralmente costretto a fermarmi e pensare. Sai, per me l’attività live, un concerto, è da vivere come qualcosa di unico, energetico, a volte quasi magico. Se ti metti a suonare con il ritmo che abbiamo dovuto tenere in certi periodi, la cosa diventa quasi routine sfibrante, che è poi un po’ l’opposto di quello a cui, personalmente, ambisco.
Mi dispiace di sentire di questo tuo periodo difficile! Ma fate bene a regolare quest’attività, che prendete seriamente, ma in modo che rimanga qualcosa che vi fa stare bene. Perciò qui ci va una domanda super frivola… Sono curiosa: com’è suonare al Dunajam? Cioè, non è un disastro con tutta quella sabbia?
Un disastro totale, te lo assicuro! C’era sabbia ovunque nei pedali! Poi immaginati la gente che è seduta a circa 30 metri di fronte a te e fuma i suoi spinelli oppure semplicemente vaga per conto proprio… Il tutto ti dà, credo, l’impressione chiara che questo non sia il tipo di show che intendevo prima quando parlavo di ciò che mi dà soddisfazione o non mi fa sentire a disagio. In breve, quel concerto non mi è piaciuto un granché, anche se l’idea in sé sembrava interessante. Pare sia stata una bella esperienza per band come i Colour Haze, ma per quanto mi riguarda non è il mio pane. Cioè, io ho bisogno di sangue, sudore e lacrime sul pavimento dove si balla!
Ammazza che crudezza! Bene, allora torniamo a parlare di qualche altra crudezza, la vita dura di tutti i giorni. So che voi ragazzi avete lo stesso problema della stra-grande maggioranza dei musicisti underground, cioè dovete guadagnarvi la pagnotta con lavori “normali” per poter coltivare la vostra passione musicale e continuare l’attività dei Samsara Blues Experiment e dei progetti paralleli. Però voi siete stati capaci di forgiare le vostre abilità in campo musicale in senso lato e possiamo ben dire che siete diventati professionisti indipendenti, diy a 360° per quanto riguarda composizione, performance, registrazioni in studio, mixing (grazie alle competenze da ingegnere del suono del bassista Richard Behrens), produzione, arti grafiche e distribuzione attraverso la tua etichetta Electric Magic Records. Ci dici qualcosa riguardo a queste validissime attività professionali?
Si sa, l’intera vita è una lotta. In qualche modo sin dal giorno in cui arrivi in questo mondo devi trovare la tua strada nel casino totale che regna qui sulla Terra. Cercare di andare d’accordo con il sistema in cui si è inseriti, quale esso sia, soddisfare le aspettative che uno o gli altri hanno, vivere una vita decente per quanto possibile… Cioè, ognuno di noi deve trovare un varco attraverso tutto ciò. Ritengo abbastanza ingenuo chi si batte per avere una vita da “rockstar” o simile, dove tutto sembra facile e dove montagne di denaro vengono convogliate al tuo conto in banca per non fare nient’altro che suonare. Intendo, ognuno deve trovare ciò che è meglio per sé, ma ci saranno sempre sia tanto lavoro da fare, sia tanti compromessi da trovare. Mi sento di avere uno scopo come musicista, ma nello stesso tempo anche come appassionato di musica attraverso il lavoro con le etichette, le riviste, le band, e così via. Io sono un tutto fatto di tutte queste cose, ossia uno che lavora sodo. Il mio lavoro non finisce alle 5 di pomeriggio, ed io non sono uno di quelli che prendono per scontate le cose. Certo, noi che viviamo qui in Germania siamo un po’ più privilegiati, visto che questo è uno dei Paesi più ricchi nel mondo. Ma davvero mi dà fastidio quando sento la gente nel giro che si lamenta per come vanno le cose, per le etichette che non li trattano bene, per i tour che non vanno come avrebbero voluto, e cose del genere. Per tutto ciò il mio invito è di lavorarci su! Sbattiti per migliorare le cose e non lamentarti per le difficoltà che affronti ogni giorno, perché tutti ci passiamo.
Ben detto… Vorrei però approfondire un minimo il tema dell’etichetta. I vostri album all’inizio sono stati pubblicati dalla tedesca World In Sound, però da un po’ di tempo in qua praticamente l’intera produzione dei Samsara Blues Experiment è disponibile tramite la Electric Magic Records, che hai fondato tu. Gran cosa, anche perché chi vi ha scoperto recentemente o vi scopre solo ora ha l’opportunità di procurarsi la vostra roba, perfino le primissime uscite, facilmente e direttamente da voi. Poi c’è da dire che Electric Magic Records ha fatto un passo in avanti, cominciando a produrre e distribuire anche altri gruppi musicali attuali di interesse e pure recuperando delle gemme oscure del rock del passato. Ci dici qualcosa di questa attività aggiuntiva della tua etichetta? E quali sono i tuoi criteri per selezionare i gruppi da sostenere?
Fondamentalmente la band/il musicista deve avere qualcosa di speciale. Dovrebbe avere qualcosa da dire, una “propria voce” e, certamente, la musica mi deve piacere. La mia personale opinione è che nessuno abbia veramente bisogno di altre copie di copie di quei 5 milioni, per dire, di generici cloni del rock anni Settanta. Ad ogni modo la mia etichetta è più o meno una specie di passione, non certo un business vero e proprio, come altre grosse etichette (tedesche). Come ho spiegato prima, la trasformazione di un’attività di passione in routine rischia di ammazzare la passione stessa, forzandola in strutture non necessarie. E poi, se uno considera gli ultimi quarant’anni di musica, nessuno in teoria sarebbe costretto a pubblicare alcunché. Cioè, c’è talmente tanta roba da scoprire… Spero che il mio punto di vista sia comprensibile.
Ti sento un po’ pessimista, ma sì, credo di capire, ed anche come appassionata di musica continuamente mi rendo conto di quanti buchi di conoscenza ho rispetto a quanto è già stato fatto e quanto c’è da scoprire guardando solo a quello che c’è a disposizione! Però comprendo anche la voglia dei musicisti di cimentarsi a fare della musica che ricordi loro, o che renda omaggio ai loro idoli. Certo però, l’originalità è l’ingrediente magico che conta più della tecnica… Ma torniamo a voi, ai Samsara Blues Experiment! Come siete riusciti a creare la vostra popolazione di fan davvero su scala mondiale? E poi il problema della pirateria musicale in rete, del download libero vi ha danneggiato? E com’è cambiato nel tempo il rapporto con i fan?
Non ho davvero idea esattamente del perché, però c’è tanta gente a cui, sembra, piacciamo! Dico che è strano, perché so che qualcuna delle nostre prime registrazioni non era per niente buona. Ma forse, appunto, tutto ciò ricade nell’ambito dell’avere una “propria voce”, ciò di cui parlavo prima. Penso che abbiamo questa “nostra voce” e la usiamo. La musica che facciamo non è qualcosa di completamente nuovo, però ci sforziamo per suonare non come qualcun altro, ma come noi stessi. Riguardo al download libero, credo sia solo di aiuto, perché, per esempio, noi non abbiamo una grossa distribuzione, e in altri continenti i nostri dischi diventano un po’ costosi (ci stiamo lavorando su questa cosa). Però nel frattempo chiunque può acquistare la nostra musica anche direttamente da noi. Anzi, comprate direttamente dalle band! Lo meritano! In tutti gli altri modi (tramite Amazon, iTunes…) i soldi vanno a finire per lo più in altre mani.
E dopo il Tube Cult Fest in Italia (leggete qui com’è andata) e il Desertfest a Londra, dove veleggeranno i Samsara Blues Experiment?
Andremo a suonare a Sofia in Bulgaria e faremo due concerti in Grecia. Non vediamo davvero l’ora!
Ultimissima domanda lampo: state già pensando o lavorando su un nuovo album?
A volte sì, e a volte no. Abbiamo varie altre questioni da sistemare prima. Beh, allora grazie per l’intervista e per l’interesse!