SAISON DE ROUILLE, Karl Sugin
Li abbiamo visti esordire, abbiamo tifato per loro affinché pubblicassero un secondo disco e – visto che già il primo faceva il suo – siamo andati a sentire che avevano da raccontarci, ed è andata a finire che non abbiamo parlato solo del loro sound pesantissimo, ma anche di società, sociale e della cara, vecchia fantascienza.
Com’è nato il nome della band? Chi ha disegnato il vostro logo? Trovo entrambi molto aderenti al vostro sound.
Karl Sugin (voce): Il nome del gruppo proviene da un romanzo di fantascienza francese di Pierre Pelot, che apparteneva a una serie che avevo divorato, intitolata “L’uomo senza futuro”. “Saison de Rouille” si svolge nel sud della Francia, in un contesto di caos e violenza molto realistico. L’ho letto quand’ero in Italia, a Bologna per la precisione, ho pensato che il titolo fosse molto poetico e ho realizzato molto velocemente che “Saison de Rouille” fosse una “rivelazione”, il titolo perfetto per il nuovo progetto che stavo cominciando a sviluppare dopo che il mio gruppo precedente, Danishmendt, si era fermato (2012).
Tutto l’apparato visivo, come anche la sigla SDR, è uscito molto spontaneamente. Il logo è dunque una mia creazione personale, non è nulla di complicato! Si tratta di una scrittura simile a uno dei graffiti sui vagoni dei treni, un “vandalismo” che si trova spessissimo a Parigi. Tutti i titoli dei pezzi dei due album, insomma, li ho disegnati su di un foglio a casa.
Sempre a proposito di combinazione suono/immagine, che mi puoi raccontare dell’artwork di copertina di Deroutes Sans Fin?
La parte visiva di Deroutes è composta unicamente da fotografie di Mike Oblinski, che ci ha consentito di usarle. Abbiamo giusto ritoccato queste foto magnifiche, l’insieme era molto coerente con la musica e le parole. Danno l’idea di un mondo in piena transizione, al confine col caos, surreale eppure reale, come quelle tempeste o quelle rovine non identificate sulla spiaggia.
Probabilmente ti farà ridere, ma quando ho letto che provieni dalla periferia di Parigi, ho subito pensato a “L’odio” di Kassovitz. I ragazzi protagonisti erano immersi nella black music, tu invece ti occupi di un altro tipo di musica nera. Cosa ascolta la gente nelle Banlieue oggi?
Noi veniamo dalla “banlieue proche”, al sud di Parigi. Non abitiamo in quartieri così difficili e poveri come quelli che vengono mostrati ne “La Haine”, ma li conosco bene e ci ho lavorato. Noi viviamo in quartieri “piccolo borghesi”, siamo dei “piccoli borghesi bianchi” (!), ma siamo accanto a questi posti abbandonati dalla politica, con la loro violenza e i loro traffici di droga, dove vivono persone in grande difficoltà, dentro costruzioni impersonali… Fa parte del nostro universo mentale, delle nostre esperienze, dei nostri incontri, ma anche della nostra cultura musicale. Ascolto tanto hip hop quanto rock, ad esempio. E, come dicevo, il nostro logo è ispirato ai graffiti. I “banlieues” francesi è un’espressione utilizzata dai media per raggruppare dei territori senza alcun rapporto (andare all’Ovest molto ricco di Parigi non ha alcun rapporto con andare all’Est, il celebre 9-3). Non sono molto informato dell’attualità musicale, ma il rap è lo stile più ascoltato in quei quartieri: dei rapper molto celebri, come Booba, sono delle autentiche star.
Il vivere in una metropoli quanto influenza il vostro sound?
Vedi domanda precedente! Le metropoli sono il crogiolo della mondializzazione e di tutte le sue contraddizioni, positive come negative. Parigi è una città mondiale, la sua regione – dove vivo – è un mondo a parte, chiuso, separato dal resto del Paese. Ci sono cresciuto e ci sono attaccato, ma è un amore/odio senza fine! La ricchezza è a fianco della povertà, la bellezza architetturale è a fianco della miseria delle grandi costruzioni degli anni Sessanta/Settanta, le autostrade e i magazzini immensi come dei Walmart sfigurano il paesaggio, ma noi ne siamo dipendenti per poter consumare senza una fine…
Si ha l’impressione che tutto possa precipitare nella violenza rivoluzionaria, in un nuovo terrore, in delle insurrezioni come nel 2005. Ma allo stesso tempo tutto rimane abbastanza calmo, le persone vivono e sopportano i pesi della loro esistenza con una forza ammirabile. Per farla breve: tutto questo mi influenza! I Saison De Rouille sono un gruppo rock “urbano”!
I testi: ho notato che in entrambi gli album usi la prima persona e che il protagonista è sempre in una condizione di debolezza profonda, anche fisica. Solo una mia impressione?
In effetti utilizzo la prima persona per “vivere” e interpretare il testo, come se avessi un ruolo. Anche durante i rari concerti dei Saison De Rouille c’è quest’aspetto teatrale. Ci sono sempre delle situazioni surrealiste e fantasmagoriche che non ho di sicuro mai vissuto, anche se è come se avessi l’impressione di averlo fatto in un’esistenza parallela.
I testi, ancora: questa volta avete provato a scrivere una storia vera e propria, se il mio francese regge ancora. Un viaggio postapocalittico. Vi va di dare qualche indizio ai nostri lettori?
Il nostro ultimo album, Deroutes Sans Fin, è un “gioco di parole” in francese, difficile da tradurre. La parola “deroutes” (gli sconfitti, i falliti) si pronuncia allo stesso modo di “des routes” (le strade). Quindi significa sia “fallimenti senza fine” sia “strade senza fine”. Ho detto tutto! Si tratta dunque di un “roadtrip” nel cuore di vite perse, abbandonate e dunque in piena mutazione, violente, ridicole, patetiche: un personaggio che non ha più niente, nemmeno più i suoi sogni inquinati (il primo titolo), un viaggiatore perduto in un centro commerciale dove vivono dei bambini barbari (il terzo pezzo), un combattimento in strada tra due violentatori, uno francese e uno tedesco, innamorati della loro vittima (il sesto brano)…
I testi, parte terza. Se – da un punto di vista musicale – possiamo dire che voi eravate ispirati all’inizio da Godflesh e Swans, è difficile per me dire chi vi ispira da un punto di vista letterario (vedi il riferimento a Pierre Pelot). Ho pensato a Ballard, qualche volta, ma è troppo facile…
A un livello musicale, sono un grande ammiratore degli Swans, dalla prima fase sino alla loro separazione nel 1997. Per contro, come dico spesso, non ho mai apprezzato i Godflesh, non ho nessun loro album!
Per quanto riguarda l’ispirazione letteraria, parli di Ballard e hai ragione. Adoro il ciclo catastrofico degli esordi, soprattutto “Secheresse” (da noi è “Terra Bruciata”, ndr),ma anche la sua “trilogia del cemento”, che contiene “Crash”. Leggo molti romanzi noir e fantastici, che hanno una certa influenza sulla mia scrittura. Molti sono di autori francesi come Andrevon, Di Rollo o Damasio; altri americani, come Pollock, Shepard, Williamson, Mc Carthy, e anche italiani, penso all’eccellente “L’homme vertical” di Longo.
Mi tengo comunque i Godflesh come spunto per la prossima domanda: è difficile suonare dal vivo senza un batterista umano?
Saison De Rouille è il mio primo gruppo senza batterista! Un’esperienza nuova, è stato necessario esercitarsi non poco per dominare i pezzi! Diciamo che il mio canto è l’elemento centrale: Laurent, il bassista, e Sebastyen, il chitarrista, si orientano soprattutto a partire dalle mie parole! Comunque sappiamo fare i nostri pezzi, perché abbiamo lavorato molto alla composizione e al missaggio dell’album. Non è importante per noi suonare senza un batterista, anche se penso che spesso a cercare nuovi musicisti per i prossimi dischi e i prossimi concerti. Un batterista per dei concerti in locali con un’acustica di buona qualità sarebbe una bella esperienza!
Negli ultimi anni ho incontrato ottima musica estrema francese: Aluk Todolo, Celeste, Habsyll… Vi piace qualcuna di queste band? Avete qualche nuovo nome francese per noi?
È vero che la scena delle musiche “amplificate” o “estreme” in Francia è molto ricca, e molti gruppi sono davvero di grande qualità, e certi ottengono “successo” anche fuori dai nostri confini. Conosco i tre gruppi che hai nominato. Mi sento vicino unicamente agli Aluk Todolo, di cui apprezzo parecchio l’universo e i componenti, che ho potuto incontrare. Le altre due band non sono la mia “cup of tea”, anche se rispetto il loro lavoro. Ci sono molti gruppi, ma non li conosco davvero bene, perché non mi interessa molto l’attualità. Ti posso dire che ho acquistato recentemente l’ultimo lp degli Eibon, un gruppo parigino di doom/black molto “immersivo”, e apprezzo anche Death To Pigs, Pord…
Progetti futuri dopo questo complesso secondo lavoro? Possibilità di vedervi live qui?
Il progetto principale è quello di assicurare all’ultimo disco la massima diffusione possibile in Francia e fuori, grazie a una promozione importante e dunque a molte recensioni. Come sai, abbiamo fatto tutto da soli e non abbiamo avuto alcun sostegno da etichette. Dunque è necessario arrangiarsi! Per il momento ce la passiamo molto bene.
Abbiamo iniziato la composizione del terzo album, perché ho molte idee e ho voglia di terminare il ciclo “potente” e “intenso” di Deroutes, spostandomi verso una musica ancora più viscerale e bluesy, meno industriale. Speriamo di registrare nella primavera del 2015.
Per il futuro, ho voglia di sviluppare una musica più spoglia, meno ricca, lasciando più spazio al testo francese. Riuscire a creare un’identità molto forte e originale per SDR!
Sarei felice di suonare in Italia, Paese che ho visitato molto da Nord a Sud. Ma non ho alcuna illusione. SDR quasi non trova concerti in Francia, quindi come farcela da voi? Ne approfitto dunque per far passare un messaggio: se delle etichette o dei bookers in Italia sono interessati alla nostra musica, non esitino!
Grazie mille per il tuo interesse.