SAINT VITUS + MOS GENERATOR, 11/10/2017
Roma, Traffic.
Ci sono alcuni nomi che piacciono particolarmente al pubblico romano e che riescono sempre a garantire una certa affluenza ai loro concerti. I Saint Vitus sono uno di questi. In occasione della loro ultima calata nella Capitale, ad esempio, suonarono tutto Born Too Late, assieme ad altri classici, davanti a un Init strapieno (e noi ne parlammo).
Esattamente come quella volta, la serata è a soli due gruppi, ma al posto degli Orange Goblin ci sono i Mos Generator. Ero molto dubbioso riguardo il gruppo americano: non sono un fan dello stoner e oggi le nuove band di questo genere suonano quasi tutte uguali e prevedibili. Ma i tre, in giro dal 2000, non sono proprio gli ultimi arrivati e non sono neanche così tanto classificabili in questo filone, visto che nel loro sound ci sono forti radici southern rock e blues. Live mi hanno colpito e pur non avendo fatto uno show memorabile si sono saputi distinguere dal marasma informe che è la loro concorrenza.
Fa strano essere già arrivati al turno degli headliner, anche se chi li ha preceduti ha suonato più di un’ora. I nostri eroi salgono sul palco e attaccano con “Dark World”, tratta dal loro grande disco Die Healing, del 1995. Come forse già sapete, dietro il microfono è tornato Scott Reagers, dopo che Wino è stato arrestato per possesso di stupefacenti proprio qualche data dopo quella italiana appena menzionata. Le differenze tra i due non possono sfuggire: il primo con una voce più melodica e figlia delle sonorità hard rock anni ’70 e il secondo con il suo timbro sporco ma inconfondibile. Il repertorio, per forza di cose, è più incentrato su Hallow’s Victim e sul primo, omonimo ep della band: la scaletta di questa sera comprende molti pezzi riproposti nella loro versione originale come “White Stallions” e “War Is Our Destiny” o altri mai suonati precedentemente come “Saint Vitus”, “White Magic/Black Magic” o “Burial At Sea”. Dal classico Born Too Late vengono estratte le sole “H.A.A.G.” e la title track conclusiva, finale di una grande esibizione.
I suoni, va detto, non sono stati eccellenti e i volumi sono stati ancora più discutibili: la voce era un po’ bassa, ma il gruppo sembrava in ottima forma, seppur con un Dave Chandler che nel locale camminava con le stampelle per un problema a un tendine reciso.
Sembra che il pubblico romano abbia gradito il concerto, ma rispetto al 2014 in molti non sono tornati, forse perchè troppo attaccati a Wino. Non è un mistero che buona parte dei fan dei Saint Vitus sia legata alla loro componente più “punk” e a un frontman che è spesso considerato un vero rocker, un’icona di stile che va oltre le sue doti come musicista (il tutto più che giusto, se non fosse che molti ignorano il suo percorso nei The Obsessed, che per il momento hanno fatto uscire il disco più bello del 2017). Personalmente, amando entrambi i periodi dei Saint Vitus, sono rimasto molto soddisfatto e faccio fatica a scegliere quale delle due line up sia la migliore, protendendo forse per questa perché preferisco gli album con Scott Reagers, ma sono gusti personali.