SABBATONERO, L’Uomo Di Ferro (A Tribute To Black Sabbath)
Non si può prescindere dai Black Sabbath. I padri del metal sono, senza alcun dubbio, una colonna portante e un punto di riferimento, non solo musicale, nella vita di molti di noi: trasversali a più generazioni e fautori di un marchio di fabbrica in termini di sound e attitudine che non è mai passato di moda.
Proporre un tributo a una band così importante è indubbiamente un rischio, ma che succede se a farlo è un supergruppo, i cui componenti sono “pezzi grossi” della scena metal contemporanea e non solo? Potrebbe sembrare un voler vincere facile, invece direi che il livello delle aspettative potrebbe essere talmente alto da trasformarla in un’operazione insidiosa: probabilmente si tratta di un misto di devozione e voglia di misurarsi con quella band per merito della quale molti hanno scoperto e iniziato ad amare visceralmente l’heavy metal.
Il progetto ha come fine ultimo la beneficenza: è infatti una raccolta fondi a favore dell’ospedale Spallanzani di Roma, per quei medici sempre in prima linea nella lotta contro il Covid-19. Causa molto nobile, e line-up coerentemente stellare: alla formazione di base, che vede Tony Dolan (Venom Inc.) al basso, Francesco Conte (Neromega, Spiritual Front) e Filippo Marcheggiani (Banco Del Mutuo Soccorso) alle chitarre, Riccardo Spilli (Balletto di Bronzo) alla batteria, si affiancano di volta in volta diversi musicisti, tra cui Marty Friedman (chitarra solista su “Symptom Of The Universe”), Flegias (vocalist su “Paranoid”), Steve Sylvester (vocalist su “Sabbath Bloody Sabbath”), Dario Casabona (batterista su “Hole In the Sky”), per citarne alcuni.
Difficile dare un giudizio su un’uscita di per sé così particolare: sono brani che hanno fatto la storia, e i musicisti coinvolti – è risaputo – sono versatili e molto competenti. Ciò che colpisce è la perfetta alchimia che si è creata tra artisti che, di fatto, non avevano mai suonato assieme. Molto interessante la resa di “Killing Yourself To Live” con ben due voci femminili: Maksymina “Max” Kuzianik (ex cantante dei Setheist) e Mayara Puertas dei Torture Squad. La punta di diamante dell’intero album, a mio avviso, è “A National Acrobat”: Simone Salvatori (Spiritual Front) ha offerto un contributo notevole come vocalist, in uno stile tanto suo quanto calzante nel riproporre sotto una luce diversa un brano complesso e ricco di sfaccettature, senza però fargli perdere l’atmosfera originale, in un delicato equilibrio che penso debba stare alla base di ogni cover ben riuscita. L’assolo di Attila Vörös (che ha suonato con band del calibro di Nevermore, Satyricon e Sanctuary) è la classica ciliegina su una già squisita torta.
Nell’insieme, siamo di fronte a un supergruppo in cui ognuno ha messo del suo per omaggiare con dieci brani quella che, a conti fatti, resta una band fondamentale, senza la quale il metal non esisterebbe, o non sarebbe quello che è. Nessuna facile retorica, nessuna “primadonna”, nessun intento autocelebrativo: solo una gran voglia di divertirsi suonando, nonostante, ne sono sicura al 100%, la nostalgia da palco sia diventata insopportabile per tutti coloro che hanno preso parte a questa splendida iniziativa.
Tracklist
01. Symptom Of The Universe
02. Sabbath Bloody Sabbath
03. N.I.B.
04. Killing Yourself To Live
05. Heaven & Hell
06. Paranoid
07. Children Of The Grave
08. A National Acrobat
09. Hole In The Sky
10. War Pigs