SABASABA, Unknown City
Mi approccio ad Unknown City del duo torinese Andrea Marini – Gabriele Maggiorotto con molti, forse troppi input. In primis l’ottimo ricordo del loro esordio, disco omonimo ormai risalente a sei anni fa, mentre colpevolmente mi ero perso Metabasi di due anni successivo. Poi l’ambientazione in questa città sconosciuta, ispirata da un romanzo di China Miéville, “La città e la città”, che ho iniziato a leggere per calarmi in un ambiente simile e nel quale ho trovato diversi collegamenti con il Tullio Avoledo più storto, cosa che mi è garbata assai. Intorno, come colonna sonora, ma forse più come vero e proprio ambiente sonoro, una sorta di matrice dub che invece di spingere sui bassi indugia maggiormente sul paesaggio, dipingendo una sorta di infinita periferia, rendendola inospitale, talvolta arida e in altri momenti umida fino al disfacimento. I brani di Unknown City si prendono il tempo necessario per calarci in questa realtà, accompagnandoci nei dedali di una terra che non appartiene più a nessuno e che sembra occupabile, plasmabile a livello sotterraneo e recondito. Note, collaborazioni e accorgimenti arricchiscono l’album, partendo dalla viola di Ambra Chiara Michelangeli, passando attraverso le voci di Jonathan Clancy, Emily Leon e Francesca Marongiu, fino ad arrivare al lavoro sui suoni di Paul Beauchamp, Nick Foglia e Brian Pyle. Pericolo, spazio di manovra, una tensione palpabile ordita dalla coppia di musicisti, i quali – partendo da un’idea personale di dub – gestiscono un intero disco senza ricorrere a speziature e colori, mantenendosi fedeli a una specie di annichilimento sonoro, dettato da ritmi sotterranei ed echi, come in una “Guarantee Safety In Our Cities” che sembra tristemente accostabile alle condizioni di conflitto ad intensità variabile in molti dei territori attuali. L’intervento vocale delle Jerome (anche loro due in forza a Maple Death Records) nella penultima “Wrists Free” disegna una scenario ieratico tutt’altro che liberatorio, quasi un cammino a polsi ormai legati, mentre la “Catatonia” finale chiude come meglio non si potrebbe il disco. Rispetto all’esordio Unknown City sembra apparire maggiormente chiaro e aperto, ma come potrebbe esserlo una ferita. Terreno vischioso, a rischio infezione, in continua, minuscola modifica e stratificazione.