RUSSIAN CIRCLES, Gnosis
Dal vivo sei una delle band migliori in giro oggi, dicono. Ti chiudono per due anni dietro le sbarre. Diventi come Oh Dae-su di “Old Boy” e cominci a dare pugni al muro della cella: esci che hai più muscoli, resistenza e cattiveria di prima. Gnosis è grosso, incazzato e metal. Fa ridere, ma a volte pure black metal (“Vlastimil” e direi anche “Betrayal”, un pezzone). Con questo disco i Russian Circles si sono allenati per il palco e per l’ottagono. Sono asciutti, tirati, hanno cambiato stile di combattimento: se prima giravano intorno all’avversario e facevano tattica, adesso lo aggrediscono cercando di chiudere il match immediatamente. Non ricordo, in passato, di aver sentito da loro un pezzo ottuso come “Conduit” (vi vedo che fate headbanging). Stesso discorso per la title-track, che finisce con la band che ci tiene bloccati a terra e cala pugni come fossero martelli.
I primi ascolti fomentano un sacco, poi, recuperata la lucidità, ci si rende conto che questo è un gruppo ormai vecchio, che tiene comunque sotto controllo tutto, non sbava davvero, un po’ come gli Isis di In The Abscence Of Truth, per trovare paragoni nello stesso scenario. Mancano insomma la droga, l’alcol, gli sbagli, la pazzia-quella-vera, ed è l’unico difetto del disco. Difetto che dal vivo potremmo persino scordare facilmente.