ROSWELL RUDD – FAY VICTOR – LAFAYETTE HARRIS – KEN FILIANO, Embrace
Qualcosa per cui vivere, ma è troppo tardi ora, se guardo allo specchio, nella casa del sole nascente. Formano un’involontaria poesia alcuni titoli dell’ultimo disco registrato dal compianto Roswell Rudd, scomparso alla fine dell’anno scorso, un gigante del trombone qui alle prese con un repertorio di standard suonato in quartetto col pianista Lafayette Harris, il contrabbassista Ken Filiano e con la voce piena di soul di Fay Victor.
Abbiamo a che fare con qualcosa di totalmente imperniato su una classicità limpida e senza tempo, sebbene non sempre così affascinante, a essere sinceri. Da “Something To Live For”, la prima collaborazione del 1939 tra Billy Strayhorn e Duke Ellington, a una personalissima rivisitazione, al limite del calypso, di “Goodbye Pork Pie Hat” del grande bastardo Charles Mingus (recuperate, se volete leggere un grande libro di jazz, “Beneath The Underdog”, in italiano appunto “Peggio di un bastardo”, la sua autobiografia): qui il pezzo trova nuova vita in quest’inedita veste molto più ritmata e vivace rispetto all’usuale passo bluesy e sospeso col quale abbiamo imparato a conoscerlo e amarlo. Si torna nella pura classicità swing con “Can’t We Be Friends”, anche se di uno swing del tutto peculiare si tratta, mancando all’appello la batteria. Il groove non ne risente affatto però, merito di un equilibrio perfettamente dosato tra i tre interpreti in scena, capaci di un interplay sempre arioso e puntuale, in cui svetta rotondo e nitido lil trombone di Rudd. Il contrabbasso suonato con l’archetto di “Too Late Now” sa frugare tra le pieghe dell’anima di un pomeriggio di fine febbraio mentre l’inverno ancora affila le sue armi (se dovessi scegliere uno strumento solo tra i miei preferiti, in un’assurda gara a esclusione, credo che opterei proprio per il contrabbasso: mi risuona dentro come nient’altro al mondo), poi entra il pianoforte a portare pace e armonie più docili ed anche risapute, per quanto sempre di grande eleganza. È troppo tardi adesso per dimenticare il tuo sorriso, canta Fay Victor, e si ripete ancora una volta il miracolo di certe ballads che ripetono lo stesso canovaccio all’infinito, ma lo fanno con grazia e per questo sono immortali: come lo è “House Of The Rising Sun”, zuppa di blues e trascinata (nuovamente) da un contrabbasso dolente e teatrale, suonato ancora con l’archetto. Un altro classico senza tempo chiude il disco, e si tratta di “Pannonica” di Monk, un brano che il musicista del Connecticut ha suonato innumerevoli volte dal 1962, anno in cui formò con Steve Lacy una band specializzata nel suonare la musica di Thelonious.
Si chiude dunque con un abbraccio – reale e metaforico – alla grande tradizione del jazz la straordinaria carriera di questo grande trombonista, che iniziò suonando Dixieland al college prima di addentrarsi nelle selve del free più avventuroso dei primi Sessanta insieme a musicisti del calibro di Cecil Taylor, Archie Shepp, John Tchicai e Don Cherry. Tra i tanti dischi da recuperare, ne segnalo due: la riedizione in cd del 2004 dell’lp originariamente uscito per America Records con il New York Art Quartet (con Louis Moholo alla batteria e John Tchicai all’alto sax, registrazioni olandesi del 1965) e intitolato semplicemente Roswell Rudd, e il doppio Early And Late uscito per Cuneiform nel 2007, a nome Steve Lacy-Roswell Rudd Quartet, con repertorio tratto dallo storico quartetto School Days del 1962, che quarant’anni dopo è stato ripreso anche da Ken Vandermark, che ha voluto chiamare nello stesso modo uno dei suoi mille progetti.
Il jazz continua ad andare avanti, non può fare altrimenti, e lo fa ancora oggi anche grazie al lavoro di grandi personalità che hanno iniziato a rompere gli schemi in tempi non sospetti, proprio come Rudd.
Tracklist
01. Something To Live For
02. Goodbye Pork Pie Hat
03. Can’t We Be Friends
04. I Hadn’t Anyone Till You
05. Too Late Now
06. House Of The Rising Sun
07. I Look In The Mirror
08. Pannonica