ROSA ANSCHÜTZ, Votive
Rosa Anschütz è artista multidisciplinare: leggo infatti che ogni pezzo di Votive, il suo primo full length, è rappresentato da una scultura in ceramica realizzata da lei e che a Vienna queste vanno a formare un’installazione sonora che poi è lo sfondo della foto di copertina. Anschütz, in pratica, è perfettamente autonoma: canta (da un lato siamo vicini allo spoken word, dall’altro a vocalizzi eterei à la Grouper), scrive i testi, crea la sua musica grazie al suo sistema modulare di sintetizzatori. Della produzione, invece, si è occupato Jan Wagner, del quale abbiamo parlato qui. Il sound di Votive – e i battiti, quando ci sono – fanno pensare a gruppi tipo i Boy Harsher (sentire “Soft Resource”), quelli insomma che si rifanno alla cold wave, alla prima ebm e agli anni Ottanta più scuri e synthetici. Questa, ovviamente, è una semplificazione, perché Anschütz è meno paracula, il che si traduce in brani che si muovono più lenti, in qualche modo più sensuali e onirici, senza le asperità noise che ho sentito sull’ep di debutto. Non che questo materiale sia frutto di invenzioni strutturali incredibili (siamo sempre lì: inizio atmosferico, spesso seguito da un crescendo con qualche beat a dare più forza, finale in dissolvenza) o che sia nato da una pioggia incessante di idee, ma la voce è molto magnetica e il sound – per essere un mezzo esordio – non è per niente male.