ROEDELIUS – SCHNEIDER, 4/5/2016
Milano, Teatro Franco Parenti.
È sufficiente aprire la pagina Wikipedia di Hans-Joachim Roedelius per rendersi conto che stasera, sul palco del Teatro Parenti di Milano, agisce una specie di monumento vivente della musica elettronica. Qualche dato utile: Roedelius nasce a Berlino nel 1934, inizia la carriera musicale nel 1968 con Conrad Schnitzler e insieme a Dieter Moebius fonda i Kluster nel 1970 (Cluster dal ’71). Collabora strettamente con Brian Eno e con Michel Rother dei Neu! (con lui fonda gli Harmonia). Da allora la sua carriera non si è mai fermata, a testimonianza di un amore per la musica e per la creazione davvero sconfinato. Al suo fianco sul palco Stefan Schneider, altro artista considerato emblematico dell’elettronica tedesca, fondatore negli anni Novanta dei To Rococo Rot insieme ai fratelli Lippok. Insieme, i due hanno pubblicato due dischi per Bureau B (Stunden del 2011 e Tiden del 2013).
Fin qui la Storia. Roedelius si presenta sul palco in completo bianco e con fare da “profeta” si avvicina lentamente al pianoforte a mezza coda. Schneider è già in piedi dietro al suo set minimale, composto solo da un piccolo campionatore/drum-machine e un paio di effetti. I due incominciano a “improvvisare”, almeno così sembra, solo i loro sguardi li guideranno tra drone e melodie ambientali per tutta la durata del concerto.
Il primo, al piano, compone linee semplici ma ipnotiche, passando con facilità da scale maggiori a minori, senza mai infierire troppo sui tasti e con leggerezza, toccando note care alla produzione dei Cluster. Alcune scelte melodiche mi ricordano l’album Curiosum del 1981, minimali ma molto poco lineari, frutto delle session con gli allora compagni Schnitzler e Moebius. Il secondo, intanto, sintetizza rumori e giri di basso, riempiendo con sub-frequenze l’impianto del Parenti. L’istrionico Roedelius si sposta poi a controller e pc, dove ha preimpostato suoni di matrice new age, spesso acquatici: complesse trame di flauti e rumori sostituiscono il pianoforte. Per tutto il concerto passerà dall’elettronica al pianoforte, cambiando molto (forse troppo) suoni e stili. Schneider, invece, conserverà l’impostazione iniziale. Non si creerà però, purtroppo per l’ascoltatore, nessun momento di particolare trasporto. I due mi sembreranno spesso distanti nelle scelte sonore. Del resto, trattandosi di improvvisazione, questa può comportare che persino due musicisti esperti ed eccellenti rischino poi di perdersi tra le pieghe di composizioni ambientali, non definite e a volte poco amalgamate. Ma tant’è, alla fine del concerto l’applauso è comunque scrosciante, forse più un tributo alla carriera del Maestro tedesco che non alla performance di questa sera. Lui si alza aggrappandosi al piano, saluta statuario con la mano dicendo: “ciao bambini”. E tanto basta per farmi commuovere.