Road Dogs: beyond the Decline of Western Civilization
Shane Aquino è l’autore e regista di Road Dogs, il film che ha riassunto sei anni di follia on the road, incredibili stravaganze da palcoscenico e stili di vita estremi da parte di tre delle più esteticamente sbalorditive e artisticamente inflessibili band della California (Peppermint Creeps, Heavenly Trip to Hell e Kettle Cadaver). Tutto questo mentre attraversavano gli States con un tour in modalità fai da te. Road Dogs ha portato il formato “rockumentario” a un nuovo livello, nel quale un lungometraggio inquietante e intrigante, girato in uno stile “amatoriale” à la Blair Witch Project, incontra Sodoma, Gomorra e il travolgente mondo sotterraneo del rock n’roll indipendente. Dimenticatevi di tutte le vostre false, pompose e artificiose facezie da MTV e preparatevi a uno schiaffo anarchico di vivido “iperrealismo”.
A Road Dogs partecipano, tra l’altro, Alexis Arquette, Chris Holmes (W.A.S.P), Brent Muscat (Faster Pussycat), Kittie, Dino Cazares (Fear Factory), Uranium host Mistress Julia (Fuse) e i tedeschi Mad Sin. È stato ufficialmente selezionato per l’Etrange Festival 2012, che si terrà a Parigi il 10 settembre.
Iniziamo col parlare della creazione di Road Dogs. Come ti è venuta in mente un’idea del genere e cosa ti ha ispirato principalmente?
Shane Aquino: È stato tutto pressoché accidentale. O meglio, si potrebbe dire, destino, dato che fui scelto dagli Heavenly Trip To Hell semplicemente per dirigere un loro video ma, nello stesso tempo, mi divertivo a filmare spezzoni della loro vita fuori e sopra il palco. Tramite loro, venni in contatto con le altre band presenti nel film (Kettle Cadaver e Peppermint Creeps). Stesso discorso nel loro caso. Ho diretto tutti i loro video e ho passato molti anni a filmare tutto ciò che quei gruppi hanno attraversato durante la loro vita. Ero consapevole del fatto che un giorno avrei messo tutto insieme, sebbene non avessi idea di quale sarebbe potuto essere il tema centrale o la struttura. Fino alla morte di Traci Michaelz (il batterista dei Peppermint Creeps, ndr): solo allora tutto fu chiaro nella mia mente e centrai l’obbiettivo.
L’introduzione, la lista di cosa fare e non fare per la riuscita di un perfetto tour, la voce narrante fuori campo lungo tutto il film –per non parlare dei freak e dei fanatici religiosi incontrati on the road – in un certo qual modo, ricalcano alcune delle più classiche produzioni cult di Russ Meyer (Lorna, Motorpsycho e Faster, Pussycat! Kill! Kill!). Ma con le caratteristiche di un road movie, basato sul rock, folle e decisamente realistico. Avevi presente una parte di quell’immaginario durante la creazione del tuo film/documentario?
Onestamente, no. Non sono un grande fan di Russ Meyer. È difficile sostenere che ho avuto altri tipi di ispirazioni cinematografiche durante la realizzazione di Road Dogs. Se ci sono similitudini è un puro caso. Oggi è letteralmente impossibile creare qualcosa di assolutamente originale senza che non sembri essere preso in prestito da precedenti lavori.
Non a caso, il tuo film/documentario potrebbe benissimo essere accostato anche alla trilogia di Penelope Spheeris (The Decline Of Western Civilization) o anche a We Sold Our Soul For Rock ‘n’ Roll. Secondo la tuo opinione di regista, quali sono le differenze salienti tra Road Dogs e la trilogia? Nel confronto con questi altri noti film/documentari, dove risiede il valore aggiunto in Road Dogs? Inoltre, le tre band protagoniste sembrano avere sostanziali differenze in quanto a personalità e approccio musicale, sebbene tutte siano assolutamente intense e devote nei confronti della loro musica. Come hai scelto questi tre gruppi e cosa ti ha fatto pensare che potessero essere perfetti nel ruolo di protagonisti di Road Dogs?
È vero, c’è un commento da parte di Variety Magazine che paragona il mio film a The Decline Of Western Civilization, in qualche modo. Ricevere questo tipo di considerazione per me è un onore, ovviamente. Penelope Spheeris è stata una pioniera dei “rockumentary” e il fatto di essere ritenuto lo Spheeris di questa generazione per me è un paragone molto suggestivo. Il valore aggiunto che ho sempre creduto di avere nel mio film riguarda il dettaglio per cui, a differenza di altri registi, io non ero al di fuori della vita vera vissuta dai protagonisti, ma ne ero parte integrante. L’unica differenza, rispetto a loro, era che io avevo in mano la telecamera, tutto qua. Questo è lo stesso motivo per cui sono riuscito a catturare aspetti estremamente intimi in seno all’esistenza di queste band, cose a cui nessuna crew cinematografica avrebbe potuto avere accesso. Questa gente è diventata la mia famiglia, e ancora oggi siamo in rapporti molto stretti. Oddio, c’è una sola eccezione, ma approfondirò la cosa in un altro momento. Queste tre band fanno parte di una scena che è immensa e le ho scelte perché ritenevo che fossero le uniche per cui valesse la pena impegnarsi. Il perché, poi, mi abbiano accettato senza problemi nel loro mondo può solo essere catalogato alla voce “destino”.
Ho avuto come l’impressione, guardando il film, che Los Angeles abbia giocato un ruolo importante nella vita e nel background di questi musicisti, come se fosse l’ingrediente capace di far coniugare generi e stili differenti su di un piano comune. Sei anche tu del parere che questa città ha inciso molto sulla riuscita di questo mix?
Credo ci siano molteplici fattori che incidono. Di sicuro la città è uno dei principali. Ma, ci sono persone, circostanze, storie, energie che possono esistere qui come altrove. Chi dice che tutto ciò non potrebbe accadere, diciamo, a New York? Se configuri lo stesso set di personaggi, circostanze e via dicendo, funzionerebbe comunque, forse in maniera sottilmente diversa.
Una frase di Ruben MacBlue (fondatore, editore e fotografo della rivista musicale Rock City News, istituzione giornalistica in quel di Los Angeles sin dal 1983), uno che ne ha viste e sentite di tutti i colori, recita: Nessun senso di comunità, nessuna scena. Innanzitutto, come sei venuto in contatto con Ruben? Inoltre, c’è oggi una vera comunità nella scena rock di Hollywood oppure – come puntualizza Gerardo Crist (Heavenly Trip To Hell) nel film – il 90% del pubblico del Whiskey Go Go è costituito da musicisti in cerca di un vano successo, che aspettano solo il loro turno per salire su quel palco?
Per molti versi, Rock City News ha rappresentato l’origine della scena. Tutte e tre le band coinvolte nel mio film hanno fatto parte integrante di quella pubblicazione, e anche molto prima della mia comparsa sul loro cammino. Di fatto, la maggior parte degli eventi che ci hanno visti coinvolti, o sono stati creati ad arte da Rube, o per lo meno lui era lì tutto il tempo. Ruben è un amico caro a noi tutti. Dunque non c’è stato neanche bisogno di entrare in contatto con lui e onestamente non riuscirei neanche a ricordare come e perché ci siamo ritrovati amici. Te ne rendi conto solo quanto ti ritrovi nelle reciproche case a bere birra tutto il tempo e a parlare di stronzate, mentre cerchi di quadrare i tuoi cazzi, senza stare troppo a pensare. Se c’è una scena a Hollywood, io non la trovo proprio. Passo la maggior parte del tempo fra le band e i vari happening qui, ma tutta quella magia che c’era, anche quando giravo il film, sembra completamente assente adesso. Questo posto sembra una reliquia in un museo e ne sono profondamente rattristato.
Il rock appartiene alla strada. Un’altra frase da ricordare pronunciata da Gerardo nel film. Quali sono, secondo te, le band di L.A. (o della California) che ritieni più promettenti e scafate ora?
Sarà che sono un po’ uscito dal giro o me ne sto un po’ stufando, ma personalmente non vedo quasi nessuno di promettente. C’è qualcosa di buono, ma è tutta gente che ormai bazzica da anni da queste parti. Forse devo iniziare a uscire un po’ di più. Oppure sono io che sono cotto ormai e non me ne frega più poi tanto.
Il tuo documentario mostra un vero approccio fai da te alla musica. Le band in questione si danno da fare in prima persona per promuovere il loro lavoro e si sentono intimamente legate alla loro fan-base. Una parte consistente del film, tra l’altro, sottolinea l’importanza di interagire con la propria scena locale. Puoi aiutarci a capire la differenza tra un musicista capace di lavorare sulla propria fan-base e uno che tenta di ottenere un contratto con una label senza aver mai messo piede nella propria scena locale?
Label? Sei sicuro che ne esistano ancora? Dalla rivoluzione dell’industria musicale sono cambiate molte cose, drammaticamente, e per certi versi ne sono contento. Come una volta, quando le varie ere si potevano definire in base allo stile dominante. Esempio, gli Ottanta erano “buttrock”, i Novanta erano grunge e via dicendo. Le case discografiche trovavano qualcosa di nuovo e ci si fiondavano sopra se capivano che c’era una formula vendibile. E poi, grazie a questo processo, vivevamo otto anni in cui migliaia di band suonavano e apparivano allo stesso modo. Oggi, invece, sembra che ci siano tanti generi e stili diversi tutti mischiati insieme in un solo pentolone. Dato che oggi tutti gli artisti possono raggiungere lo stesso grado di esposizione mediatica, l’ascoltatore va a cogliere quello che ritiene lui essere valido e interessante, piuttosto che farselo dettare o suggerire dalle case discografiche. La regola del rock come genere appartenente alla strada, in questo modo, ha più probabilità di essere messa in pratica.
Il quadro che viene fuori da Road Dogs è piuttosto crudo e realistico, con tutti gli alti e bassi che una band può incontrare sulla strada. Che ne pensi dell’attuale tendenza a rendere ogni tipo di scena (dal metal al punk) un prodotto di massa accettabile e amichevole? La ricerca del successo è una ragione plausibile per limitare rabbia e attitudine?
Uhm, con Road Dogs ho sentito di dovermi sottoporre a qualche compromesso, ma comunque mi ha sorpreso quanto io sia stato considerato accettabile. Come vedi nel film, il mio approccio alla presentazione di Road Dogs è in stile mainstream, ma cerco di andarci giù il più possibile pesante. Sono consapevole del fatto che quando non hai un nome prestigioso e nessuno sa chi sei, a quel punto l’unico modo per attirare l’attenzione è fare più rumore possibile. Per di più, quando non sei nessuno e non hai niente da perdere, diventa più semplice prendere rischi più grossi. A questo aggiungi che il concetto di accettabile è in perenne mutamento e comunque sempre pieno di contraddizioni.
Pensi che l’America sia politicamente e spiritualmente preparata per Road Dogs? Ci sarà una nuova edizione del PMRC da fronteggiare?
L’America non è preparata per niente. Qui è impossibile predire come e perché la gente reagirà a qualunque cosa. Sebbene ci siano sempre delle eccezioni, immagino che la buona parte di coloro che si godranno Road Dogs non ne capiranno affatto il senso, piuttosto se lo godranno per le ragioni più atroci. Credo che almeno l’80% degli americani sia più preparato a verniciarsi di arancione e a sforzarsi di diventare dei meloni.
Traci Michaelz dei Peppermint Creeps – una band che ho sempre adorato per l’immacolata coerenza underground – è stato uno di quegli sfortunati musicisti, che noi idolatriamo come geni, che sono però un fottuto disastro per quanto riguarda la vita personale (come dice qualcuno nel film). Durante la realizzazione di Road Dogs hai mai intuito che stavi per dipingere il ritratto di qualcuno che presto – forse troppo presto – sarebbe diventato una leggenda?
Guarda allo status della maggior parte delle leggende. Io non le considererei proprio un disastro. Questo tipo di personalità deve essere in quel modo per permettere all’individuo di fare cose che la maggior parte delle persone non riuscirebbe a fare. Essere una leggenda significa operare oltre il tuo limite umano. Ho sempre saputo cosa stavo facendo e cosa ne sarebbe uscito fuori. Tutto si è messo in atto nel modo che presagivo.
Dimenticando il regista e il produttore, come hai umanamente reagito al tragico messaggio di Lexa Vonn che comunicava la morte di Traci?
Esattamente come ti aspetteresti. Era il nostro fratello, il nostro alleato.
Questa tragedia ha alterato il modo in cui questo documentato era stato primariamente inteso o, per lo meno, il suo spirito/messaggio?
La morte di Traci ha reso tutto improvvisamente più chiaro. Sentivo che avevo avuto ragione durante tutto il mio cammino con loro e che faceva parte del mio destino ritrovarmi con queste persone. Sentivo di essere lì per uno scopo ben preciso.
Suppongo che i Kettle Cadaver siano stati la band più complicata da gestire come regista, non è così? Sei stato in grado di trovare un modo per interagire con la loro sfrontata e impazzita energia, sul palco e fuori?
Che voi ci crediate o no, loro sono stati i più facili da gestire. Avevano la funzionalità più rodata, fra tutti. Edwin (il cantante) era la sola forze creativa nella band, con una visione delle cose assolutamente focalizzata. Una volta raggiunta una comoda zona collaborativa, abbiamo fatto scorrere tutto fluidamente. La vita on the road è stata terrificante alcune volte, ma non considero “difficili” gli stili di vita letali.
A proposito, che ne è di Edwin Borsheim e della sua band oggi?
Senza offesa, ma non posso discuterne con te. Quando verrà a galla, lo saprai.
Passiamo agli Heavenly Trip To Hell (rappresentati dalla tastierista e manager Vicky Vicious). Sembra che questi abbiano l’approccio migliore alla materia tour. Nel senso che appaiono molto più focalizzati sui loro obbiettivi e su una ferrea etica professionale. Ci piacerebbe sapere qualcosa di più riguardo questo gruppo e su quello che hanno in programma. Verranno in Francia con te? A proposito, mai stati nel vecchio continente? Qualche tour europeo in programma?
Vicky Vicious (Heavenly Trip To Hell): Gli Heavenly Trip To Hell hanno appena finito di registrare un nuovo album che dovrebbe uscire per Natale. È il nostro miglior materiale di sempre. Siamo molto eccitati per il futuro e sarebbe fantastico avere una distribuzione in Europa. Abbiamo anche completato un dvd pieno di video e altro materiale video derivante da nostri concerti. Negli ultimi tempi ci stiamo occupando di condurre al meglio un nostro club a Downtown Long Beach e a creare eventi nel nostro negozio No Regrets. Facendo questo, supportiamo tutte le band e gli artisti locali e i nostri eventi hanno un successo enorme. Chiaramente siamo anche molto su di giri per la prima del film Road Dogs a Parigi. Si tratta di un’opportunità e ci darà un’enorme esposizione al di fuori degli Stati Uniti. Non vediamo l’ora di venire, anche per un tour.
Shane Aquino: Dopo quindici anni, continuano a rafforzarsi. Se ciò funziona, lo si deve al loro spirito di comunità di stampo spartano. Tenere vicine tante persone diverse, ognuna con le sue capacità individuali, senza alcun genere di scollamento. È una cosa realizzabile da pochi. Sì, questa è la nostra prima volta a Parigi, per lo meno. Io sono stato in Irlanda un paio di volte. Parigi è una delle più importanti città nella mia lista dei luoghi dove andare. La prossima è Tokyo. Siamo entusiasti.
Ho sentito che Road Dogs è stato selezionato anche dal Lausanne Underground Film & Music Festival.
Pare di sì.
Spero solo che non verremo borseggiati a Parigi. Ho sentito che parecchi psicopatici partecipano all’Etrange Festival. Non vedo l’ora.
Gli italiano riusciranno a dare un’occhiata al film? Ci sarà da noi una distribuzione in DVD o per sale cinematografiche?
Fosse per me, lo distribuirei ovunque. Qualcosa si sta muovendo ma lentamente . Se ci volete dare una mano e volete rompere un po’ il cazzo alla persona delegata alla distribuzione (Cole Payne), mandate e-mail a raffica all’indirizzo cp [at] instinctivefilm.com. Presto sarò in grado di darvi il suo numero di telefono, una volta che riesco a ottenerlo io.
Grazie mille per il tuo tempo, Shane. Qualcos’altro da aggiungere?
Mi piacciono i rotoli di cannella.