RITUAL VEIL, Wolf In The Night
L’era del gothic rock e della darkwave sembra non tramontare mai. Il 2017 ci ha lasciato un bel po’ di gioiellini (Chelsea Wolfe, Sally Dige, Drab Majesty, Jessica 93, per nominare i più conosciuti…), ma tutti sappiamo quanto può essere vasto l’oceano delle autoproduzioni e di Bandcamp. Meno male che qualche etichetta ci aiuta in questa ricerca minuziosa, dunque dobbiamo (di nuovo) ringraziare la bolognese Avant! Records per aver scovato i Ritual Veil, un delicato trio fetish di Portland – una sorta di Village People da Batcave – che ha pubblicato Wolf In The Night su cassetta un anno fa, ma il vinile è uscito da appena un mese.
A sorprendervi già dal primo ascolto non sarà tanto il gusto di giocare con la drum-machine e i synth, citando esplicitamente i primi Depeche Mode e accelerando gli Ultravox, non sarà nemmeno la scelta abbastanza canonica di arpeggiare le chitarre semi-acustiche in stile Clan Of Xymox o The Mission: ciò che che vi farà saltare ripetutamente dalla seggiola e che vi farà dire, fra voi e voi, “ah però!”, sarà la voce di A. Alexander, il cui timbro potrà anche ricordare palesemente i White Lies, ma la cui costante ricerca di melodie facili da assimilare la avvicina quasi a soul e pop.
“Gray Filter” non si stacca più dalla testa, “All Black” mischia le chitarre più lisergiche dei primi Editors o dei Cure sopra arpeggiatori moroderiani, “Favorite Toy” giostra i riff tra le sei-corde e i synth, strizzando l’occhio agli A Flock of Seagulls: tutte queste piccole e dovute citazioni sono perfettamente incorniciate da questa incredibile ricerca vocale, mixata col giusto riverbero e delay, raddoppiata molte volte e sempre al punto giusto. E sempre, ripeto sempre, alla ricerca di quella piccola variazione melodica che tanto ricorda i New Order e il lato più orecchiabile del synth-pop. I punti in comune coi già citati Drab Majesty sono diversi, ma in questo caso la dimensione apocalittica lascia il posto ad accelerazioni più ludiche che pescano dal passato.
I Ritual Veil sono una sorta di nuova band new romantic che ci fa ricordare a quanto potevano essere agli antipodi i gusti della new wave anni Ottanta: laccati e variopinti, ma sempre con una nota malinconica e agrodolce.