RIGOTTO, Uomo Bianco
Il mondo incastonato dentro la tazza di un cesso: è ciò che si vede nella copertina del successore di Corpi Celesti, che due anni fa segnò l’esordio di Paolo Rigotto. Cantautore sì, ma soprattutto musicista esperto, tanto da suonare ogni strumento presente in Uomo Bianco, disco che risulta omogeneo pur nel suo esplorare molteplici suggestioni musicali. E che in più affronta con sarcasmo e ironia il presente e il passato, senza trascurare, in qualche maniera, l’aspetto “intimista”.
Un intro e un outro acustici (cantato il primo, strumentale quello conclusivo) ci introducono nell’interessante discorso sonoro delle dieci canzoni racchiuse al loro interno: si comincia con il funky post-undici settembre di “È Successo” e si passa agli echi elettronici e alla melodia ferrettiana di “La Lingua”. “Facciamo Pace”, col suo ritornello a presa rapida, a metà tra il beat e reminescenze black, scherza, appunto, sul tema della pace. Il rassegnato crossover di “Quasi Quasi”, dove Rigotto desidererebbe addirittura spararsi o votare la Lega, è a metà tra il melodico e un (non) cantato che a tratti ricorda Caparezza. Divertente la satira sull’Inghilterra di “English Soup”, graffia invece l’antirazzismo poco accomodante della title track: ricca di groove nel tessuto musicale, salmodiante nella linea vocale. “La Via Lattea” è un universo che ci va stretto, il «capezzolo dell’universo», citando l’autore; il tutto affrontato in una giocosa chiave synth-pop. Forse Paolo giudica e ride di sé nel dub chitarristico di “Un Diritto Mio”, così come nella più abrasiva “Fuori Di Me”, il brano più rock del lotto. La disillusa “Cambiare Musica” ci spiega come certi miti del passato siano stati grandi ma ad oggi superati, visto che il mondo rimane il posto di merda che è; anche se i versi «la musica non può cambiare il mondo, però il mondo può cambiare musica» fanno probabilmente guardare la realtà con un tantino di speranza in più. Ma non troppa, eh.
Un disco dunque convincente: un autore maturo, che fa riflettere e al contempo regala amari sorrisi sulle nostre labbra. Non tutti i testi, a livello di scrittura (qualche rima è forse un po’ banale, ma può darsi sia una cosa voluta), sono all’altezza della musica, che viaggia sui binari dell’alta qualità. Ad ogni modo, davvero un ottimo lavoro per il torinese; senz’altro da ascoltare e da diffondere.