RICHARD PINHAS, Chronolyse
Il musicista transalpino è di casa in Cuneiform, numerose le uscite a suo nome per l’etichetta di Silver Spring (Maryland). Noi un paio di anni fa ci occupammo della collaborazione con Oren Ambarchi. Lo scorso anno è poi uscita questa riedizione (che recuperiamo con colpevole ritardo) di un suo lavoro datato 1978, pubblicato ai tempi dalla francese Cobra, ispirato al romanzo Dune di Frank Herbert (sì, proprio quello da cui David Lynch trasse il suo sfortunato film). Chronolyse è suddiviso in nove momenti/temi, tutti molto evocativi e che sono il tripudio di strumenti come Moog, Polymoog e Revox (ora tornati parecchio di moda) all’epoca molto utili per accompagnare storie di science fiction e fantascienza. Il contenuto è in fondo piuttosto semplice da descrivere: sono tutte, o quasi, brevi composizioni fatte da armonie sintetiche e concentriche, dove appunto ripetitività e senso di angoscia pervadono l’ascoltatore (spiccano comunque gli slanci di “Duncan Idaho”). A confondere le acque c’è poi, nel finale, “Paul Atreides”: come un immaginario moloch o un viaggio interstellare di circa mezz’ora, che sembra un mare in tempesta fatto di cascami di synth e mellotron e di chitarre a profusione. Roba spiazzante questa, davvero quasi inaspettata, ma se si conosce bene la musica di Pinhas la cosa non meraviglia affatto. Va ringraziata la Cuneiform per avere avuto il coraggio di togliere dalla polvere un album tanto dimenticato quanto coraggioso.