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RICHARD HRONSKÝ, Closures

Closures è il secondo album del sound-artist slovacco Richard Hronský: poco più di quaranta minuti articolati in ben diciotto tracce, tra frammenti non-sense, code di echi a nastro e amorfe bizzarrie.
Il territorio sonoro è dichiaratamente lo-fi nella sua variante più storta e disturbata, a partire dall’iniziale “Kontinuum”, ciclico carosello di interferenze sintetiche.

Gli sparuti campioni orchestrali di “Ples” e le saturazioni di “Kodust Kaugel” (e più in generale le prime tracce) dipingono uno scenario ad alto tasso psichedelico, che però non aggiunge molto all’ormai consolidata estetica post-industrial a meno che non lo si interpreti come il tentativo di mettere a fuoco una complessa e intricata maglia di rimandi e suggestioni provenienti da oltre quarant’anni di controcultura sperimentale.

Un disco circostanziale? Forse, ma dalla seconda metà in poi l’atmosfera si fa più tesa e intrigante: “The Landscape End” (la traccia più interessante, per chi scrive) è un cortocircuito sonoro costruito su un casuale loop vocale gradualmente inghiottito in un abisso di riverberi, pienamente riuscito nel delineare in soli quattro minuti un ambiente sonoro che sfuma dallo humour all’horror. Da qui in poi la sensazione di frammentarietà percepita all’inizio lascia il posto a un lavoro coeso, grazie anche alla ripresa di “Kontinuum”, che dona al disco un’inattesa (e suggestiva) struttura ad anello, e al costrutto sonoro in lenta evoluzione di “Bridge”.

Forse si può evincere il significato di Closures dal suo stesso titolo: un percorso di crescita (umano e artistico) culminante nella chiusura di una fase della propria esistenza e nel raggiungimento di una nuova consapevolezza.