RICCARDO LA FORESTA & JAMES GINZBURG, Six And Forty​-​Six

L’album Six And Forty Six, uscito sull’etichetta di James Ginzburg Subtext il 30 gennaio e presentato al Berghain all’interno della rassegna berlinese CTM, rappresenta l’ultimo passo di una collaborazione iniziata dall’artista modenese Riccardo la Foresta e James Ginzburg (Emptyset) nel 2022 al RoBOt di Bologna quando i due musicisti/performer presentarono la loro installazione negli antichi spazi di Palazzo Re Enzo ed da qui che ci è d’obbligo raccontare il viaggio di questa installazione composta da macchine sonore autocostruite e originali. Ricordiamo anche il percorso di studio ed elaborazione teorica abbastanza straordinario che dal 2015 segna il lavoro e la ricerca di Riccardo La Foresta con l’obiettivo di inedite possibilità timbriche e sonore per quel vasto universo degli strumenti a percussione, catalogati come membranofoni, e giungendo infine alla creazione di un vero e proprio deus-ex-machina da lui stesso realizzato, il Drummophone. Di cosa si tratta è bene scoprirlo sul sito di Riccardo, con bellissime foto e video, ma – riassumendo – è il procedimento per la trasformazione per es. del tamburo da membranofono ad aerofono sia che ciò avvenga con il soffio (come con uno strumento a fiato), sia con soffi a impulsi elettrici (come con un organo).
James Ginzburg (statunitense, ha vissuto in Inghilterra e ora è a Berlino), non da meno, ha progettato una tastiera di basso elettrico sistemata in orizzontale su cui applicando una struttura con quattro solenoidi, bobine elettromagnetiche che percuotono le corde del basso sulle note più gravi ottenendone una risonanza acustica variabile inusitata.
Dunque, sistemate le macchine sonanti negli studi berlinesi, si è dato avvio alla registrazione di Six and Forty Six, trasformando quel che originariamente nasceva per una fruizione mondana in un album stentoreo composto da due lunghe tracce di oltre venti minuti destinato a un ascolto privato in modalità deep listening per coloro i quali, ancora oggi, abbiano desiderio/necessità di scoprire orizzonti sonori eterodossi.

Six And Forty Six sono i bpm, la velocità, dei due brani: 6 e 46 battiti al minuto. Lunga vita al Drummophone e al Node Festival modenese di cui Riccardo La Foresta è una delle anime (Toni de Martino).


Inizia a raccontare nello specifico Earth 2 (Sub Pop, 1993) Stuart Hallerman, che lo registrò nei suoi Avast Studios di Seattle nel 1992. Il primo giorno di lavoro, dice Hallerman, Dylan e Dave (Harwell, basso) accordarono i loro strumenti (nella terza traccia, “Like Gold And Faceted”, c’è il contributo di un batterista, ma nessuno accenna a lui), li appoggiarono sul pavimento, sistemarono degli EBow su di essi e uscirono dalla sala registrazione con lui, sedendosi sul divano della sala controlli, lasciando che tutto accadesse. Ripeterono il processo alcune volte, aggiungendo livelli su livelli. Niente di meno rock, niente di più minimalista, inteso proprio nel senso di Steve Reich o ancora meglio di La Monte Young, quest’ultimo sempre citato da Carlson in qualunque intervista e nel documentario stesso (pare fosse arrivato a lui tramite i Velvet Underground). (fonte)

Riccardo La Foresta e James Ginzburg hanno realizzato un’installazione (a Palazzo Re Enzo di Bologna) comprendente la batteria usata come un aerofono di La Foresta e uno strumento a corda progettato da Ginzburg non molto diverso da quelli che sentiamo in Skin degli Emptyset. Più o meno come gli Earth 30 anni fa, La Foresta e Ginzburg hanno avviato gli strumenti, li hanno lasciati andare e hanno osservato le vibrazioni di uno influenzare l’altro e viceversa, diventando – più che performer – registi di quello che sembra un nuovo esperimento minimalista o riduzionista: drone e una corda percossa che sembra fare da lancetta dell’orologio. A poter ancora colpire in questi casi, non più nuovi di per sé, anche se sempre affascinanti, è proprio il suono d’insieme: sia il “drummophone” di La Foresta, sia questo cordofono di Ginzburg hanno una loro voce potente, chiara e distinguibile, e insieme funzionano alla grande, completandosi l’un l’altro. Va detto che per me è facile, dato che sono fan di entrambi. Con queste premesse, cado ogni volta subito dentro la trappola minimalista di Six And Forty-Six, perdendo la cognizione della realtà in un attimo e svegliandomi bruscamente alla fine di tutto, non sapendo se è passato un minuto o una vita. (Fabrizio Garau)