RIAN TREANOR, Ataxia
Curioso che Rian Treanor nel suo percorso per far “muovere la gente in modi imprevedibili” (così come da comunicato stampa) abbia recuperato, non so quanto consapevolmente, dinamiche che rimandano al “glorioso passato” di certa elettronica di marca Rephlex o Warp. Fatto sta che il producer di Sheffield, al suo esordio per Planet Mu, fa un gran uso nel suo repertorio di quei suoni digitali che oscillano secondo geometrie “altre”, a metà strada tra un carillon alieno che si incarta e un rompicapo sonoro, in una dialettica sempre mutevole con il ticchettare chirurgico e frenetico della drum machine. L’impianto asciutto – quasi essenziale – dei groove e del loro dipanarsi sempre molto conciso tra frammentazioni e ricomposizioni ricollega il tutto alla contemporaneità, suonando a volte come una sorta di sintesi tra Autechre e Gábor Lázár, sparandola grossa. Quello che ho scoperto essere il figlio di Mark Fell declina questo meccanismo di fondo con una certa varietà: se “B1” è un frenetico overload di senso di allerta ricorsivo (da retrogame cyberpunk), “C2” sembra una intro degli Orbital, con quel synth che si muove quasi come un animaletto digitale cautamente curioso di scoprire lo spazio circostante. Aggiungiamo qualche scheletro di impalcatura tech/house, qualche austera trama puntillistica e sparuti echi dub, e il gioco è fatto. Nel complesso Rian Treanor dimostra senza dubbio di saperci fare, anche se probabilmente questo esordio non brilla per freschezza. Alcune soluzioni proposte sembrano un po’ troppo di seconda mano e ci sono momenti in cui il producer sembra mordere eccessivamente il freno rispetto al possibile andamento dei suoi pezzi. Forse andrebbe preso più come una collezione di sketch che come un album strutturato, ma in ogni caso io aspetterei per vedere come evolve la cosa.