REFUSED, War Music

REFUSED, War Music

Il mio incontro con i Refused risale alla prima metà degli anni Novanta (1994, se rammento bene) quando la band accompagna in tour i 108: ricordo una data bolognese con dei ragazzini pestiferi impegnati a far saltare l’impianto e rischiare di far crollare tutto aggrappandosi ai tubi che corrono lungo il soffitto del posto. Incuriosito dal live, compro l’ep Pump The Brakes e comincio a interessarmi alla scena svedese di Umeå, tanto più che quella stessa sera prendo il cd di Senseless degli Abhinanda. Da lì a poco, inoltre, entrp in Boundless Records, etichetta che distribuisce in Italia le uscite della Desperate Fight Records (creata da Dennis dei Refused e Jose degli Abhinanda). I Refused diventano così uno dei miei gruppi preferiti: li vedo crescere, diventare grandi, fino a quel The Shape Of Punk To Come che a giudizio di molti (me compreso) resta un momento fondamentale per l’evoluzione dell’intera scena, anche se alcuni già storcono la bocca e sentono puzza di hype e sovraesposizione. Ammetto anche che, come ho amato i Refused, non ho mai digerito i The (International) Noise Conspiracy, tanto per chiarire che non di fede cieca si trattava né tanto meno di culto della personalità, ma di reale amore per una band che era stata quasi una colonna sonora della mia stessa crescita come ascoltatore, almeno di certi suoni. Non sono nemmeno un grosso fan del comeback targato 2015, Freedom: non mi si fraintenda, è un buon album con alcuni spunti interessanti e dei bei pezzi, ma a mio parere è troppo eterogeneo e poco carico, c’è un che di artificioso e auto-referenziale tra le sue pieghe che mi ha un po’ freddato o, probabilmente, sono io ad aver seguito altri tipi di percorsi. Del resto, non è detto che si debba per forza apprezzare tutto o farsi piacere tutto in onore di un passato che, a parte rarissime eccezioni, difficilmente ritorna.

… Crediamo ancora che il capitalismo sia un cancro e crediamo ancora che possa essere curato. Crediamo ancora che il patriarcato sia un cancro e crediamo ancora che possa essere curato anche questo. Crediamo ancora nel potere dell’arte, che trasforma ed apre la mente. E come ultima cosa, ma non per importanza: crediamo nel totale e violento annientamento dell’uno percento.

Veniamo a War Music e al suo contenuto in note. Un disco che al solito raccoglierà estimatori e denigratori, alcuni per la musica (che è un po’ quel che dovrebbe contare in ultima istanza), molti di più per la consueta divisione tra chi si lascia affascinare dal nome importante che torna con un nuovo lavoro e chi storcerà il naso a priori per darsi un tono da puro e duro. Rispetto al precedente, va detto subito che questo è un disco che mena allo stomaco e decisamente più carico, il punto di saldatura tra Freedom e quello che in fondo ci si aspettava dal ritorno dei Refused in continuità con il loro album più famoso. In breve, non mancano le parti “strane”, ma non coprono l’impatto dei pezzi che restano comunque punk nell’anima. A dirla più completa, la sensazione è quella di un disco rock con l’anima punk, visto che non mancano neanche molti spunti da veri e propri anthem rock, e quando uso il termine penso proprio a quel tipo di canzoni che piacciono agli adulti che non disdegnano una chitarra distorta purché sia accorpata ad una struttura classica con coro orecchiabile, suoni patinati e quel che serve per non apparire troppo minacciosa (come accade nella tripletta “I Wanna Watch The World Burn”, “Blood Red”, “Malfire”). Il risultato è perlopiù apprezzabile e non risulta stridente, anzi si direbbe che la band abbia trovato la formula magica per mascherare da agnello il proprio messaggio da lupo senza far la fine di un Lenny Kravitz a caso. Diciamo che se scrivo che si tratta di un lavoro arrabbiato e potente non si deve pensare ad un classico disco hardcore, ma non siamo neanche così distanti da quella che era la proposta di The Shape Of Punk To Come, con cui ha più di un punto di contatto ma di cui non vuole essere una pedissequa rivisitazione, visto che presenta al suo interno soluzioni più lineari e meno sghembe. Piuttosto, siamo di fronte a pezzi diretti e dotati della giusta spinta su cui si innestano elementi “altri” atti ad alterarne la struttura e renderne in qualche modo più varia e originale la presentazione finale. Un po’ come in una ricetta agro-dolce in cui non capisci mai quale dei due gusti prevalga e alla fine ne impari ad apprezzare proprio la combinazione per la sua particolarità e il suo prenderti di sorpresa. Sulla portata politica e sulla necessità di dichiararsi schierati in questa epoca poi non ci sono dubbi, i nomi citati e le parole utilizzate non lasciano adito a interrogativi di sorta: “Blood Red Until We’re Fucking Dead” non lo scrivi oggi per apparire alla moda e accattivarti ascoltatori, visto che la tendenza imperante è un buonismo stile compromesso storico e non certo citare Ulrike Meinhof (come avviene nelle note affiancate al video di “REV0010”). Insomma, al solito, sono i Refused, con tutti i pro e i contro che ci si può aspettare e con qualche anno in più sulle spalle, ma anche con un’idea chiara della direzione da intraprendere e una scrittura ben superiore alla media. Piacciano o meno, questo è quello che sanno fare e lo fanno davvero bene, per cui la scelta spetta a ciascuno in base ai propri gusti e alle proprie aspettative. Per quanto mi riguarda lo promuovo, ma aspetto di vedere come reggerà alla prova del tempo, perché in questi casi il rischio è sempre quello di un innamoramento iniziale destinato a finire con un fuoco di paglia.

Tracklist

01. REV0010
02. Violent Reaction
03. I Wanna Watch The World Burn
04. Blood Red
05. Malfire
06. Turn The Cross
07. Damaged III
08. Death In Vännäs
09. The Infamous Left
10. Economy Of Death