REDEMPTUS, blackhearted
blackhearted (tutto minuscolo) è il titolo del nuovo disco dei Redemptus, band portoghese attiva dal 2014 e già autrice di due album oltre ad uno split con i brasiliani Basalt, già ospiti delle nostre pagine. Alla voce troviamo un’altra nostra conoscenza, il cantante Paulo Rui di cui vi abbiamo parlato a proposito del gruppo grindcore Besta, al cui interno militano anche membri di un’altra nostra fissa, i Sinistro. Messa così sa già di riunione di famiglia, l’ennesima linea che va ad unire puntini all’apparenza distanti eppure capaci di tratteggiare un panorama musicale tanto variegato quanto propenso a mettersi in gioco per rimescolare le carte di una scena metal spesso fin troppo conservatrice. Questo discorso vale, mutatis mutandis, anche per i Redemptus, che partono da un’ammirazione dischiarata senza falsi pudori per Old Man Gloom e Sumac, oltre che per i loro cugini Zozobra, e finiscono con l’elaborare una propria interpretazione di quello che per semplicità definiremo post-metal. In realtà, all’interno del disco si avvertono molte altre pulsioni, tanto che si finisce involontariamente persino dalle parti di certo post-screamo di scuola francese (Mihai Edrisch, Amanda Woodward e Daïtro) per il forte impatto emotivo di alcuni passaggi e un uso di crescendo ricchi di pathos che aggiungono profondità alla trama sonora. Dall’incontro tra differenti linguaggi fusi insieme nasce la colonna sonora ottimale per storie di dolore, fantasmi annidati nel subconscio e demoni con cui fare i conti in cerca di una catarsi liberatoria che purtroppo non sembra arrivare: non a caso, il disco si chiude con un brano dal titolo che sa di sentenza inappellabile: “Doomed To Crumble”. L’intero blackhearted trasuda oscurità e un umore dolente, a tratti vicino al doom, ma non mancano neppure improvvise aperture da cui filtra una tenue lama di luce, fattore che per assurdo non allevia ma acuisce la sensazione di disagio provata nello sbirciare questa dolorosa seduta di auto-analisi collettiva. Ad aiutare la band all’interno di un lavoro tanto ricco di dettagli intervengono gli amici Dani Valente (cui sono affidate anche registrazione, missaggio e masterizzazione), Vasco Reis e Miguel Santos, che sostengono i Redemptus nel confronto con la prova più ambiziosa della loro carriera, quasi un manifesto programmatico di tutto ciò che si annida nel loro bagaglio non solo musicale. Il risultato è portato a casa e l’album si lascia apprezzare nella sua interezza senza venire a noia, merito soprattutto della già citata abilità nell’incastonare brevi fughe di lato all’interno di un suono comunque coeso e ben definito. Ancora una volta, il portogallo si dimostra patria di band da non prendere sottogamba.