RAINBOW ISLAND, Crystal Smerluvio Riddims
Futuristic psychedelia meets dub and primitive rhythms: questa è l’esatta definizione che ci dà di se stesso il gruppo romano, qui al secondo disco lungo dopo l’esordio omonimo del 2012. Non posso che confermare, anche alla luce della apparente naïveté che trasuda da queste note sparse e ri-assemblate in una maniera molto meno casuale di quanto possa sembrare a un primo ascolto.
“Phase Spider” è svolazzo psych che può ricordare gli Emeralds, ma con le basi di batteria elettronica cattive e marziali, l’apertura di “Fat Sak”, invece, frantuma da subito le ritmiche e spiazza volutamente l’ascoltatore, anche quello più smaliziato. C’è poi la bolla etno-space di “Rotating Peach”, che parte come un Sun Ra perso nell’iperspazio (cioè a casa sua…) per poi buttare polvere di stelle con fare plateale, come se stessimo ascoltando un clamoroso esercizio di stile art-rock, anche se a dire il vero l’esperimento non è del tutto riuscito, nonostante la stoffa ci sia. Naturalmente non può mancare la variazione sul tema: “8 Yap” è una sorta di blues anfetaminico sempre sull’orlo di una crisi di nervi, pensate a dei musicisti elettronici berberi che smaniano di trovare l’acqua da qualche parte nel lontano deserto. La convulsa prova electro di “Gigi Rally”, dal canto suo, è come un fiume in piena, inquinato però da una vernice tossica e fluorescente, e non è da meno la chiusura di “Jiāng”, sorta di prova chill-out da rilassamento post-rave che porta a mondi spersonalizzati.
In sostanza in Crystal Smerluvio Riddims potrete ascoltare della musica andata a male e figlia dei folli tempi che viviamo ora, non è poco.