RADIEN, Unissa Palaneet
Mastering di James Plotkin, Unissa Palaneet dei finlandesi Radien è uscito il 19 maggio su Svart. Comincio subito col mettere in evidenza che, su un totale di 46 minuti, 21 sono occupati dalla title-track in chiusura, perciò l’esperienza di ascolto è a dir poco singolare. La band ha all’attivo un altro disco, del 2018, e un paio di ep, e con questo secondo full-length ha dato ulteriormente prova di avere le idee chiare e le spalle larghe. Siamo di fronte a un doom-sludge cupo, imponente, senza compromessi né spiragli di luce in fondo al tunnel, com’è giusto che sia. Il concept racconta un sogno lucido in cui il protagonista comprende di poter cambiare il futuro attraverso le sue visioni ma decide di lasciarlo inalterato. Il finale è piuttosto tragico, poiché la natura prende il sopravvento sull’umanità, che finisce in cenere (la traduzione del titolo è, infatti, “bruciati nel sonno”).
“Myrskyn Silmä” (letteralmente “l’occhio del ciclone”) in apertura è un brano strumentale di circa sei minuti, con una forte componente atmosferica tendente al drone e il chiaro intento di trasmettere quell’inquietudine che spesso precede la paura vera e propria. Una chitarra acustica quanto mai essenziale scandisce il tempo, preparando il terreno per la successiva “Seinämän Takana” (“dietro il muro”), la cui pesantezza nel riffing e nella sezione ritmica fa da contorno a un cantato rabbioso e viscerale (è ospite Dylan Walker dei Full Of Hell), perfettamente in linea col genere di riferimento.
La malinconica “Näkijä” (“veggente”) mette in luce elementi percussivi che la rendono decisamente ipnotica: otto minuti che scorrono agevolmente, lasciando poi spazio a “Mitä Tapahtuu, Se Tapahtukoon” (“accada quel che accada”), un’altra strumentale lenta, monolitica, e dotata di una certa delicatezza.
Come dicevo, la title-track dura 21 minuti. È formalmente divisa in tre parti e vede la partecipazione della “nostra” Lili Refrain, sempre eccezionale nell’inglobare emozioni forti nella sua caratteristica chiave ritualistica, profonda, viscerale, femminile. Il brano si apre con elementi ritmici e vocali da rito pagano, e la sensazione è proprio quella di sentire il calore di un falò in una notte di luna piena. Dopo circa tre minuti un’inquietante combinazione di chitarra e basso subentra, poi seguita da un cantato sommesso, macabro. I radicali cambi di tempo e atmosfera si susseguono in modo piuttosto brusco, ma è chiaro l’intento di non far rilassare affatto l’ascoltatore. A circa metà brano si sentono i “campanacci” della Refrain, ad annunciare la sua presenza: sussurra, poi si cimenta in un canto drammatico carico di pathos, ed è parecchio interessante osservare quanto il suo approccio si incastri perfettamente nelle atmosfere create dal quintetto finlandese.
L’album è, nell’insieme, ricco, complesso e molto evocativo: i singoli brani hanno sì una propria identità, ma è nella loro fruizione consecutiva che si vive appieno l’esperienza d’ascolto nella sua interezza “narrativa”, elemento a mio avviso imprescindibile per goderne appieno. È altresì un album che suggerirei a chi non conoscesse la band come primo ascolto, e consiglio anche di andare a ritroso, ascoltandone le uscite precedenti.