PUTIFERIO, Lov Lov Lov
Dopo quattro anni, tornano i Putiferio da Padova. Ate Ate Ate s’è mangiato mezza band, anche se il vecchio batterista Giulio Favero (One Dimensional Man, Il Teatro Degli Orrori) rimane alla produzione e suona il basso in alcune tracce e il vecchio chitarrista è pur sempre il ragazzo dietro a Macina Dischi, una delle due etichette che pubblica Lov Lov Lov. Ad ogni buon conto, i sostituti Luca Zaminga e Jan Falinski non fanno rimpiangere nessuno, dato che il gruppo (batteria più due chitarre e voce) continua a scorticare come se non ci fosse un domani. I pezzi sono nervosissimi e pieni di spuntoni, i testi sono piacevoli come masticare il vetro: la musica e le parole ricreano assieme l’immagine di un corpo sanguinante, pieno di lividi e con le ossa spezzate, metafora di una disfunzionalità psichica e relazionale. Come riferimenti, nel loro caso e in quello dei loro compagni d’etichetta, si prendono sempre le band Touch And Go e Skin Graft: nel farlo, bisognerebbe forse azzardare – assieme ai soliti – anche il nome dei Big Black. A parte questo, comunque, i Putiferio non cercano la formula magica da ripetere sempre in ogni brano: il violino di Rodrigo D’Erasmo (Afterhours) in “Hopileptic!” non è solo un vezzo, ma un altro colore acido che mancava al quadro, così come lo spunto industrialoide/kraut di “Loss Loss Loss” s’integra bene col resto. Anche altrove il gruppo non banalizza, trovando sempre il modo di farci sapere che non si vive di sole cesoiate, ma è soprattutto in chiusura, con “True Evil Black Medal”, che si mette alla prova con qualcosa di più complicato: qui ricompaiono sia il momento più elettronico sia D’Erasmo e alla fin fine si gioca con successo a tensione & rilascio, vuoti & pieni. Menzione finale per l’artwork, fumettoso come ce lo aspettavamo. Auguriamo loro ancora dischi dischi dischi.