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Provare a curarsi coi SOM

La verità è che io volevo già parlare del disco prima, The Shape Of Everything del 2022 e poi la vita ti frega, ti distrae, nonostante abbia lasciato i file un po’ ovunque, tipo nel telefono o nella chiavetta che infilo nell’autoradio. Non che non esistano dischi come The Shape Of Everything in giro: si sa che ci sono gruppi che hanno trasformato il post-rock in un genere un sacco emo, con il gioco pieni/vuoti che diventa quasi un cliché. Una trasformazione che per inciso fingo di odiare, perché non è di moda dire che è bella. I SOM, non per caso, sono musicisti che hanno suonato con gruppi come Caspian, Junius e Constants, dunque sanno proprio fare quella roba lì, ma per qualche motivo a loro riesce meglio e meno stucchevole, forse perché compiono il passo successivo e si mettono a scrivere brani direttamente catchy, quasi mainstream, mainstream come potevano essere alcune band alternative di successo negli anni Novanta, quelle che finivano su MTV e un po’ si vergognavano del fatto che vendevano così bene. Quest’ultimo aspetto secondo me si sente ancora di più in Let The Light In, merito anche della voce del fondatore Will Benoit, sicuramente non un virtuoso, ma uno che avrebbe sguazzato in quell’epoca in cui gli adolescenti avrebbero ascoltato quasi per l’ultima volta musica con chitarre elettriche. Difatti oggi i SOM si trovano in un recinto, su un’etichetta come Pelagic, assieme a Mono, The Ocean e a tutta una serie di eredi del sound Isis/Neurosis che tanto andava ormai 15-20 anni fa, artisti che oggi, quando va bene, girano molto ma all’interno di un circuito ben definito, senza mai raggiungere il pubblico generalista. Eppure sono certo che una volta un pezzo come “Chemicals” me lo sarei visto su 120 Minutes o Alternative Nation…

I musicisti dei SOM hanno incrociato molte volte le loro strade, e i cambi di formazione non li hanno scoraggiati. Perché avete deciso di iniziare insieme questo nuovo progetto?

Will Benoit (voce/basso): Quando i SOM sono partiti, volevo lavorare su una musica che fosse un po’ più semplice, più diretta e basata sui riff. In quel periodo stavo lavorando su un altro progetto con Duncan (Rich, primo batterista, ndr) che in qualche modo è svanito, e Justin (Forrest, basso, poi andato a coprire la batteria, ndr) si era appena trasferito a New York, quindi tutto sembrava un segno. Nel momento in cui la band si è evoluta per andare in tour, abbiamo aggiunto Mike (Repasch-Nieves, ndr) e Joel (Reynolds, ndr) alle chitarre e il nostro sound si è aperto immediatamente, sembrano più definito e unico. Così è sempre stata una questione di adattarsi, essere aperti a nuove possibilità e permettere alla band e alla musica di respirare e crescere in modo naturale.

Probabilmente non mi direte mai perché avete scelto il nome SOM, ma mi potete raccontare perché tutti i vostri artwork sono verdi?

Abbiamo deciso per SOM perché ci piaceva il modo in cui era una parola che potevamo definire noi. Non aveva già un significato, sembrava “scura”, implicava parole come “somber”, “somn” nel senso di sonno… Abbiamo cominciato a usare il colore verde subito, e mentre crescevamo ha finito per rappresentare anche i nostri legami con la natura. Siamo anche fan dei Type O Negative, quindi è stato divertente spingere avanti il verde, e sembra proprio adatto alla nostra musica.

Mi sono innamorato di voi con The Shape Of Everything. Ora Let The Light In mi ha rubato il cuore. Penso che la vostra musica risollevi: chitarre pesanti, melodie malinconiche, ma alla fine sembra che la musica dei SOM mi aiuti ad affrontare la giornata. Sono l’unico qui? Che dicono gli altri?

Grazie, è grandioso sentire che l’album ti parla. Penso tu abbia indovinato. La nostra musica è intesa come catartica, ma la catarsi avviene solo dopo un brutto pestaggio. Noi siamo andati in tour in Europa/Gran Bretagna con Katatonia e Solstafir, questo dopo The Shape Of Everything, e la risposta è stata molto buona ogni sera, siamo entusiasti di tornarci con questo nuovo album.

In “Give Blood” canti I’ll find a way to focus on the healing. Pensi sia davvero possibile nella vita?

Penso che dobbiamo provarci.

Un pezzo del vostro nuovo disco che sento dentro è “Chemicals”. Sembra utilizzare la dinamica quiet/loud che mi dà sempre una certa dipendenza. I Nirvana mi hanno fatto scoprire questo tipo di songwriting. Chi ti ha ispirato nell’esplorare questa dinamica?

Difficile ignorare il dna dei Nirvana nella musica rock oggi, specie quando le band giustappongono volumi bassi e volumi alti. Aggiungo anche i Pixies. Nel caso di “Chemicals”, volevo esplorare le nostre tendenze più post-metal, il che ha significato utilizzare anche gli Isis come punto di partenza.

Provenite da uno scenario dove le band spesso evitano strutture semplici o piccole, ma comunque riuscite a scrivere pezzi catchy. Come avete messo insieme questi due cose opposte fra loro?

Tutti arriviamo da background in cui si scriveva musica molto lunga, intensa, sorprendente ed esplosiva. All’inizio la sfida coi SOM era riuscire a raggiungere quell’impatto emozionale ma in 4 minuti. La gran parte di noi ama la musica pop, quindi questo viaggio è interessante proprio perché si tenta di bilanciare peso emotivo e la capacità di attirare al volo l’ascoltatore.

Guardare con quali altre band è in tour una band mi dice sempre qualcosa. Holy Fawn, Katatonia, Rosetta… ci sono fili differenti che vi legano a ciascuna di queste band molto rispettate con cui avete suonato in giro. Ho anche scoperto gli Earthside grazie a voi. Come è stato il tour di quest’anno con loro? Vedete un terreno comune tra voi e loro, anche se loro sono un po’ troppo prog per i miei gusti?

Siamo stati molto fortunati a livello di band con cui andare in tour. Ci ha reso più umili e ci ha ispirato. Il tour con gli Earthside è stato molto buono per noi, perché ci ha messo di fronte a un pubblico un po’ diverso, cosa che trovo intrigante. Ogni sera la domanda era “ok, qualcuno è qui per noi, ma ci portiamo a casa tutti prima della fine del set?”. Penso che ogni sera siamo riusciti a farlo. Ovviamente gli Earthside suonano uno stile differente, ma secondo me siamo rami di uno stesso albero.

Siete grandi fan dei Depeche Mode, ad esempio la vostra nuova t-shirt richiama Violator. Ancora più impressionante, avete fatto la cover dei tre megaclassici di quel disco. Se avessi avuto una mia band, non so se sarei stato così sicuro di me stesso.

(ride, ndr). Non vedo la domanda qui, ma vado al punto principale. Avevamo appena pubblicato The Shape Of Everything e il tour con Katatonia e Solstafir era stato rinviato di un anno per via del covid, quindi era un pugno allo stomaco avere tutte queste canzoni di cui eravamo fieri e dover aspettare un anno intero per suonarle. Non volevo iniziare a scrivere altro materiale, quindi ho pensato fosse motivo di conforto rivolgermi al familiare, suonando qualcuna delle mie canzoni preferite. Ho messo insieme qualche demo grezzo di quattro canzoni dei Depeche Mode, li ho mandati a Mike e lui era preso bene da tutti e quattro, poi la band si è presa bene, così abbiamo iniziato a lavorarci su. Abbiamo condiviso il materiale coi nostri amici dell’etichetta Sonic Ritual che si sono convinti a farne un ep, quindi alla fine di tutto ci troviamo con una pubblicazione di cui siamo molto fieri. Non era questione di essere sicuri di sé, ma di trovare una sfida che ci tenesse concentrati sui SOM in modo diverso in un momento in cui non potevamo fare altro.

State pianificando un tour europeo? Possibilità di vedervi in Italia?

Ci piacerebbe assolutamente tornare in Europa e in Italia. Abbiamo un po’ di carne al fuoco, ma per ora dobbiamo stare zitti. Dita incrociate e grazie per le grandi domande.