PRIME TARGET
Ci risiamo! Questi ragazzacci – con qualche primavera alle spalle – dei Prime Target proprio non hanno nel loro dna la parola adattamento. Proprio non riescono a vedersi e a sentirsi mentre ripropongono in qualche bettola, dove servono nostalgia alla spina, repertori da metal juke box per far scendere la lacrimuccia a metallari sempre più attempati. Sono così folli da pensare che qualcuno “compri” ancora la loro musica, anche magari in mp3 tramite cdbaby, oppure che qualcuno si presenti ai loro concerti per ascoltare dei pezzi originali e ricordi anche l’inciso dei loro brani… eppure a questi signori pescaresi queste cose, apparentemente assurde nel 2014, accadono davvero. Sarà l’audacia, l’esperienza, il coraggio o la forza delle proprie convinzioni e delle proprie idee? Chissà! Fatto è che questo gruppo di heavy metal cibernetico, marziale, elettronico, catartico e dotto, per giunta, sta giocando bene le sue carte e di certo non guarda solo alle quattro mura domestiche, sebbene non dimentichi da dove proviene. Per cui, eccovi il resoconto dell’album release party a cui il sottoscritto ha partecipato in veste di intervistatore, tenutosi all’Orange Rock Club di Pescara lo scorso 13 dicembre 2013.
Ciao ragazzi! Partiamo da una domanda piuttosto estemporanea. Cosa si prova a essere intervistati da un tizio con la t-shirt dei Ratt?
Benedetto: Mah, io ricordo con piacere il primo disco dei Ratt. Era il periodo in cui si chiamava glam quello che in realtà era heavy metal, sebbene alcuni giornalisti presero la consuetudine di affibbiare quella etichetta. L’altra sera parlavo con degli amici riguardo WASP e Twisted Sister e riflettevamo su quanto erano “pesanti” nel sound e decisamente non definibili dei poser. Quindi, ti dico che sei comunque ben accetto… ecco magari non ti dico che ti avremmo visto di buon occhio da nudo, perché purtroppo la pensiamo all’antica, ma siamo molto contenti di averti con noi. (risate, ndr)
Dunque, a proposito. Dato che notoriamente sono di gusti preferibilmente classici in fatto di hard rock e heavy metal, una delle prime cose che mi è saltato all’occhio della copertina del vostro nuovo cd, chiamato Heartbeat, è una certa somiglianza ad un classico del metal quale è Metal Heart degli Accept.
Ti ringrazio per la domanda perché mi permette di citare Giorgia Napoletano, visual artist di enorme talento, che ha lavorato anche negli Stati Uniti. Lei è riuscita a dare forma letteralmente a quello che era la nostra idea di artwork moderno e cibernetico, dove all’uomo viene applicato un cuore elettronico, quasi a sottendere la pericolosità della tecnologia ma anche a sottolineare che nella nostra civiltà cinica e fredda ci può essere un barlume di emozione. Ci è piaciuta molto la realizzazione grafica. In merito al disco degli Accept, non è stato voluto, ma ammetto di averci pensato anch’io e il paragone mi sta più che bene, dato che sono un grande gruppo e se almeno nella copertina ci avviciniamo a loro, siamo a buon punto di partenza. (risate, ndr)
Questo, fra l’altro è il terzo disco, giusto?
Diciamo che il primo lavoro era piuttosto un ep. Poi è seguito il primo full-length album, Throwback, e poi questo secondo album.
Possiamo parlare di un concept album?
Ti dirò… Non sta a noi dire se si può definire concept album o meno. Di certo c’è un’indubbia continuità di temi e sonorità in questi dodici brani, inquadrabili in quella corrente mitteleuropea, però con delle particolarità nostre e anche qualche influenza americana. Cerchiamo di suonare quello che ci viene trasmesso, inconsciamente o meno, da quello che ci piace ascoltare. È appunto un lavoro di cuore, il nostro, perché frutto di assoluta spontaneità. La nostra dinamica compositiva segue la stessa indicazione. Magari ci viene in mente una linea vocale, due liriche anche a casaccio e nasce la nostra musica. È vero anche che alcuni brani nascono magari da letture ben precise e spesso intrise di profondi significati. Per esempio “Nightwings” è un brano basato su di un racconto, molto tetro e onirico, di Robert Silverberg.
Passo la parola a Romano, chitarra, forse il personaggio più enigmatico del gruppo. Ti faccio una domanda più scarna, riguardo la composizione dei pezzi, che credo sia affidata a te, e la ricerca dei suoni, so che sei abbastanza sperimentale in questo…
Romano: A dire il vero, per quella parte dovresti chiedere più a Luca Spoltore (tastiere) e Amedeo D’Intino (basso), che sono stati i principali artefici in fatto di arrangiamenti e composizione. Io mi sono limitato ai riff, anche perché soli di chitarra non ce ne sono in questo disco. Di sicuro, anche grazie al supporto di Giuseppe Ciampagna, che oltre a essere il nostro nuovo batterista, possiede uno studio di registrazione ed è un gran manipolatore del suono, ho cercato di trovare soluzioni nuove e più audaci. Per esempio ho usato una chitarra baritona, che ha effettivamente delle sonorità particolari per il fatto di essere stata registrata su una testata per basso.
A proposito di sound, direi quindi di passare il discorso proprio a Giuseppe…
Giuseppe: Per quanto riguarda la parte di produzione abbiamo cercato di sfruttare al meglio la tecnologia analogica. In pratica tutta la registrazione l’abbiamo impostata su un banco mixer analogico, tra l’altro appartenuto alla BBC, e nello stesso tempo abbiamo usato un computer al posto del registratore multitraccia.
Avete dunque cercato di tirar fuori qualcosa di moderno da una base vintage…
Sì, esattamente. Diciamo che il 70% del prodotto è in analogico. Il resto chiaramente è stato gestito con le attuali tecnologie, anche per rimanere entro determinati standard sonori che oggi sono, volenti o nolenti, una necessità. Ad ogni modo, pensa che a risultato completo abbiamo ripassato tutte le tracce su analogico per ottenere appunto un certo calore. Quello che abbiamo ottenuto, in questo senso, è molto atipico se rapportato alle produzioni metal di oggi.
Oltretutto, Giuseppe, parliamo di uno studio di tua proprietà, giusto?
Esatto, ho uno studio a Popoli (Pescara). Di fatto, ho avuto due oneri nella realizzazione di questo disco, uno in veste di batterista e l’altro in veste di produttore. Ho dovuto anche mettere mano a scelte ben determinate e applicare una certa severità, dato che, essendo una band, c’era bisogno di un filo conduttore ben definito che tutti seguissero. Cosa alla fine non difficile, in quanto sono tutti dei gran professionisti e, sin dall’inizio, sono stati comunemente d’accordo su quello che era il colore che volevo dare al suono di questo disco.
Di solito i personaggi più defilati di una band sono quelli che poi invece hanno una fitta influenza sul processo compositivo. Per questo chiedo a te, Luca Spoltore (tastiera), come nasce in realtà la musica dei Prime Target.
Luca Spoltore: Guarda, in realtà, sono tante ore di garage, notti intere. Io ho portato sul piatto una pre-produzione, tanti campionamenti, a cui il resto della band ha dato fiducia. Ho portato le mie influenze, che risalgono anche al pop anni ottanta, alla techno, alla new wave, miste a sonorità estremamente acide. Il risultato è davvero eccitante e ne siamo molto fieri.
Stavolta vi sento molto più determinati e seriosi rispetto al passato, come se aveste un obbiettivo anche professionale piuttosto chiaro…
Amedeo D’Intino (basso): Lo siamo anche perché iniziamo ad avere una certa età… (risate, ndr) a parte gli scherzi, vorremmo effettivamente dare dei connotati importanti a questo progetto chiamato Prime Target. Io personalmente mi sento molto più coinvolto, dato che nel precedente disco il mio apporto è giunto solo a prodotto quasi finito, mentre in questo mi sono sentito protagonista anche in fase di composizione ed è per questo che mi auspico e spero che stavolta le cose possano andare davvero per il meglio in termini di riscontro. È stato un lavoro d’insieme a cui abbiamo tutti contribuito in maniera personale e unica, con il naturale spirito di coesione che ci è proprio.