Primavera Sound 2013 (giovedì 23 maggio)
Barcellona, Parc del Forum.
Un lieve mal di gola lunedì mattina, ma con il sorriso. L’anomalia è quella degli acciacchi post Primavera Sound 2013, probabilmente l’edizione più fredda del festival di Barcellona. La normalità è quella di lasciare quest’esperienza annuale nella città catalana con addosso un misto di soddisfazione e nostalgia. Il Primavera s’è confermato vivibile e “fruibile” (nel senso di visibilità più che buona di tutti i concerti su tutti i palchi), anche a fronte dei numeri di quest’anno. Secondo gli organizzatori la cifra complessiva si aggira sulle 170000 persone, spalmate su cinque giorni e sui vari palchi del Parc del Forum e quelli disseminati per Barcellona.
La giornata di giovedì inizia con i Naive New Beaters sull’Adidas Originals Stage, uno dei palchi più piccoli, scenario delle esibizioni dei tre gruppi italiani invitati al Primavera (Honeybird & the Birdies, Blue Willa e Foxhound). Il trio francese affronta l’impegno con una piacevole leggerezza che fa apprezzare al meglio il suo misto di rock ed elettronica. Iniziano però i ritmi serrati del festival ed è tempo di correre su uno dei palchi principali, l’Heineken Stage, dove hanno appena iniziato a suonare i Wild Nothing. Dopo l’uscita di Nocturne, Jack Tatum e soci hanno acquistato in compattezza dal vivo, limando alcune imperfezioni. Ok, si nota una certa staticità su un palco così grande, ma complessivamente il giudizio non può che essere positivo. A lasciare quanto meno perplessi, invece, è l’enorme ruota panoramica tra l’Heineken e il palco dell’ATP, di cui non si capisce la necessità. In ogni caso ci si abitua in fretta, mentre proprio sull’ATP, che da quest’anno ha una nuova collocazione, meno suggestiva forse ma con più spazio, iniziano a suonare i White Fence, una delle sorprese di questo Primavera Sound 2013. La band statunitense convince con il suo garage rock macchiato di suoni lo-fi e psichedelia, addentrandosi in un set incentrato su brani di Cyclops Reap. Il loro live conferma le sensazioni positive trasmesse dall’album.
L’esibizione dei Tame Impala era molto attesa, e di sicuro le aspettative non sono state deluse. Anzi, parliamo di uno dei migliori concerti del festival. I musicisti australiani si distinguono sin dalle prime note per padronanza non solo tecnica ma anche scenica, alternando brani come “Solitude Is Bliss”, “Apocalypse Dream” e “Feels Like We Only Go Backwards” a improvvisazioni strumentali che aggiungono colore all’ora scarsa di concerto, fino alla chiusura con il classico “Half Full Glass Of Wine”. Sull’altro palco principale, il Primavera, scatta l’ora di uno dei primi “tuffi nostalgici”: i Dinosaur Jr. magari invecchieranno, però musicalmente riescono a restare giovani o almeno legati al loro sound più classico. Un set compatto, durante il quale non mancano i brani che hanno segnato la carriera della band soprattutto tra la fine degli anni Ottanta e per tutti i Novanta. Più tardi Bradford Cox e i suoi Deerhunter iniziano la personale “occupazione” di questo Primavera Sound (suoneranno altre due volte, come vedremo). Con il palco Ray-Ban gremitissimo e il nuovo disco Monomania appena uscito, la band appare in uno stato di grazia assoluto. E il Ray-Ban continua a essere il proscenio migliore di tutti, come struttura e come visibilità. Tanto che con il senno di poi viene da pensare che i Grizzly Bear avrebbero reso ancora di più se posizionati lì invece che sul palco Primavera. I quattro sfornano un concerto al limite dell’impeccabile, suonando con precisione e intesa tali da rendere invidioso qualsiasi musicista. Le parti vocali riesco a trasmettere le stesse emozioni che trasmettono su disco, lasciando dunque integro il pathos di brani come “Yet Again” o “Two Weeks”.
La loro “elezione” a headliner di giornata aveva suscitato qualche perplessità: i Phoenix, con la loro esibizione sull’Heineken, spazzano via qualsiasi dubbio, mettendo in scena non solo un concerto con una scaletta ottima, ma un vero e proprio spettacolo fatto di luci, coriandoli, crowd surfing del cantante Thomas Mars e cameo di J Mascis. Una band che è cresciuta tecnicamente anno dopo anno, disco dopo disco e, soprattutto, concerto dopo concerto. La padronanza del palcoscenico del gruppo francese è forse l’aspetto che ha maggiormente impressionato. La vera delusione, inaspettata, è l’esibizione degli Animal Collective, persi in sperimentazioni sonore stavolta fini a se stesse: hanno un concerto piatto, senza mai un sussulto. Un vero peccato se si ripensa all’esuberante live di due anni prima sempre qui al Primavera. Ci pensa John Talabot (un altro degli artisti abituali del festival) a riscaldare animi e gambe con un dj set che punta su di una electro leggera e gradevole, quello che ci vuole per chiudere la prima giornata in bellezza.