THE PRESTIGE, Black Mouths
Urla e calma apparente.
Niente da fare, i Refused hanno fatto scuola e il gruppo transalpino lo sa bene. Sorprendono i quattro con base a Parigi, ci danno dentro come fossero dei ragazzini appena espulsi dal college esclusivo al quale erano stati assegnati dai danarosi genitori. La verità è invece che tutto ha un senso e un obiettivo, gli ascolti che dimostrano di aver affrontato da adolescenti hanno dato loro la giusta riserva di energia. Questa si misura nell’innata capacità di mescolare i singoli elementi (voce al vetriolo e chitarre sempre al limite della cacofonia, mai però avulse dal serioso contesto), espressa in una potenza di fuoco che più volte lascia di stucco (l’angst di “Burn Down Vegas” e le dinamiche convulse della iniziale “The Truth”). Interessante poi la gestione delle atmosfere, che all’improvviso si quietano per poi deflagrare come impazzite. In pratica una forma evoluta di noise-rock che non disdegna affatto di innestarsi nel metal più efferato. Proprio come facevano alla loro maniera i mai dimenticati Refused (non è un caso, forse, che questo Black Mouths sia stato masterizzato a Stoccolma). Il tiro è chiaramente hardcore ma, all’occorrenza, si fa più pensoso, come nella paludosa pièce di “Pluie”, tanto che in quella palude si resta invischiati (il post-tutto della successiva Forward). La vera sorpresa, però, è la sofferenza elettrica della conclusiva “Hooks And Lips”: pensate ai dimenticati Lowercase (per me uno dei gioielli nascosti della America indie dei Novanta) persi nella campagna buia della Camargue, senza luce e con la disperazione addosso. Un detour che non si riesce a dimenticare facilmente. Al netto delle mille possibili considerazioni e chiavi di lettura, possiamo affermare che i The Prestige hanno del talento. Questo infatti è solo il primo tassello di una promettente carriera, ne siamo fermamente convinti.