Post Fata Resurgo: il ritorno del Mu.Vi.Ment.S.
Itri (LT), 28 e 29 dicembre.
Partiamo dalle olive: avete presente le olive di Gaeta, ingrediente imprescindibile per un sugo alla puttanesca che si rispetti? Beh, quelle in realtà sono olive itrane. Fatta questa dovuta precisazione, passiamo a dire che Itri, deliziosa cittadina abbarbicata sulle colline del Lazio meridionale, oltre ad eccellenze agroalimentari può vantare uno dei festival underground più interessanti e longevi d’Italia: il Mu.Vi.Ment.S. (Music, Vision, Mental Silence) è arrivato infatti alla sua undicesima edizione. Dopo lo stop dello scorso anno dovuto a problemi organizzativi, quest’anno la C.A.Ga. (Cineteca Atomica del Garigliano, cioè l’associazione di Itri che sta dietro al festival… oltre ad essere amanti del grande cinema e della buona musica sono evidentemente degli appassionati di acronimi) ha deciso di riportare in vita l’amata creatura sotto l’auspicio dell’Araba Fenice, che rinasce dalle proprie ceneri e spicca il volo, disegnata per il materiale promozionale dall’illustratore Rocco Lombardi con la sua particolare tecnica. Nelle scorse edizioni ospiti della rassegna ci sono stati artisti di notevole spessore internazionale, tipo Damo Suzuki o Arrington De Dionyso, ma anche realtà italiane fra le più interessanti, come i Father Murphy ancora in erba o gli In Zaire, soltanto per fare due tra i nomi attualmente più quotati. Teatro della due giorni è stata, come di consueto, la splendida fortezza medievale della cittadina: rispetto alle precedenti edizioni la fruizione del castello è stata limitata dall’amministrazione comunale ai piani superiori cosa che, per quanto abbia di fatto complicato non poco la realizzazione dell’evento, non ha impedito ai tenaci ragazzi di Itri di organizzare una manifestazione all’altezza delle aspettative.
Quello musicale è solo uno degli aspetti della kermesse, infatti i concerti sono da sempre accompagnati da mostre, installazioni, performance, visual. Quest’anno il torrione ospita i disegni di Francesco Panatta Guitar_Boy e di Mister Bad, entrambi fumettisti ed illustratori, mentre nella torre quadrata sono esposte le opere pittoriche “ferine” di Elena Catarci. Caratteristica e spiazzante la performance di Armenia, ospitata nei sotterranei ed intitolata “La Vespera Venerina del Gora”, una di quelle cose che staresti lì a guardare per ore: sdraiata e ricoperta da un velo, vestita di legumi colorati, il trucco del volto ispirato alle spose kosovare, la Venerina giace immobile, languida, fra fumi e musiche celestiali, eros e thanatos stretti in un geniale connubio. Nella sala adiacente alla zona concerti trova posto l’installazione videoludica di Polonia Violenta, uno sparatutto retrò ad alto tasso di blasfemia con protagonista il Papa polacco nell’inedito ruolo di sterminatore. Nell’area ristoro posta sulla terrazza, il dj Gigi Galli, punto di riferimento della club culture locale, taglia e cuce groove con la consueta maestria; le selezioni fra un live e l’altro invece sono curate dall’oscuro Licio Jelly.
Giorno 1
Ad aprire la rassegna musicale è la novità Heart Of Snake, duo torinese formato da Vincenzo Marando, già chitarrista dei Movie Star Junkies, e Alberto Danzi. I due, alternandosi fra chitarre classiche, elettriche e steel guitar, elaborano intrecci ad alta densità che scaldano e cullano l’uditorio.
Devo ammettere che se c’è uno strumento che riesce sempre a sorprendermi per le tante, inaspettate possibilità espressive, questo è il contrabbasso, e la performance di Zeleska non sfugge alla regola: Caterina Palazzi, messi da parte momentaneamente i Sudoku Killer, indossa nel suo progetto solista i panni della figlia illegittima del Conte Dracula. Quella della contrabbassista romana per i vampiri è una vera e propria passionaccia, tanto da chiamare Vlad, come il leggendario impalatore, il suo amato strumento, costruito – e non poteva essere altrimenti – in Transilvania. Di solito Caterina si esibisce accompagnata da immagini a tema, come quelle del Nosferatu di Murnau, oggi è invece sola sul palco buio, nerovestita, incappucciata e con un rivolo di sangue posticcio che cola da un lato della sua bocca. Zeleska riesce a calamitare l’attenzione del pubblico con le sue atmosfere lugubri, inventa loop sui quali sciorinare un repertorio di schiocchi, frustate e stridii raggelanti; Caterina governa in maniera sapiente il feedback innescato da uno strumento così “difficile”, le sue note scure e pastose imbastiscono melodie arcane nel corso di una prestazione fortemente evocativa, che riesce a farci viaggiare in direzione Carpazi anche senza l’uso dei visual.
Sempre da Roma arrivano i Nastro, Manuel Cascone e Francesco Petricca: con il loro armamentario di synth, sequencer e percussioni elettroniche creano un mix and match di suoni sbilenchi, ritmiche tribali, bizzarri cut up, vocette e testi nonsense. Protagonista inaspettato della performance è il flauto dolce, proprio quello che un po’ tutti abbiamo detestato negli anni delle scuole medie, che nelle mani di Manuel diventa centrale in un rito voodoo metropolitano fatto di balletti strampalati e tanta ironia.
Gianni Giublena Rosacroce, progetto solista di un altro Movie Star Junkies, Stefano Isaia, riesce sempre a sorprendere col suo incessante spostarsi fra Africa, Medio Oriente e America Latina; il rimestare continuo fra tradizioni musicali diverse finisce per dare vita ad una sorta di klezmer, speziato e odoroso di zolfo, luciferino. Questa volta si presenta con una formazione a quattro: ad accompagnare lui e il suo clarinetto sono Galilea Mallol, timpano, nacchere, voce e concertina, Michele Guglielmi al piano Rhodes e Walter Magri al basso. La prima parte del set evoca atmosfere esotiche, scene da un suk maghrebino o da una fumeria turca, la seconda invece si fa languida con Galilea che indossa la sua maschera piumata e trascina il pubblico da provetta chanteuse.
Gli OvO sono una presenza ormai consueta dei festival itrani e questa sera sono qui a presentare il loro nuovo lavoro Creatura. Rispetto alle precedenti proposte del duo troviamo un grosso ricorso a sample e suoni sintetici, cosa che, devo dire, giova non poco nell’insieme: Bruno Dorella picchia come un forsennato sulle pelli alternando passaggi sui pad elettronici, Stefania Pedretti percuote la chitarra con il suo plettro metallico extralarge e, grazie all’ausilio dell’elettronica, può anche permettersi di accantonare la sei corde per scorrazzare sul palco dispensando al pubblico le sue urla strazianti in uno spettacolo da accapponare la pelle che conclude la prima intensa giornata di Mu.Vi.Ment.S.
Giorno 2
La seconda giornata di festival si apre con i partenopei Amklon, recentemente entrati nel catalogo Boring Machines con la loro, bellissima, opera prima: Collisions Of Absolutes. Sono un duo formato da Giuseppe Mascia alle elettroniche e Sergio Albano alle prese con una particolare tipologia di chitarra, dal corpo in legno e manico in alluminio, attaccata direttamente sulla scheda audio, senza passare per un amplificatore. Se Lustmord per il suo ultimo disco attinge all’archivio sonoro della NASA per mettere in musica le profondità siderali, gli Amklon fanno tutto in casa e il risultato non è molto lontano, per impatto emotivo, da quello di mr. Williams. Il tema sviluppato dai napoletani è quello della fuga, declinato attraverso suoni fortemente cinematici, segnali da altre galassie in forma di acuti lancinanti e basse frequenze micidiali, un beat che va e viene a fasi alterne: semplicemente fantascientifici nei loro tre quarti d’ora tirati avanti senza soluzione di continuità.
Gli AWOTT (Asian Women On The Telephone, dal nome di un brano dei Sun City Girls) vengono da Mosca e negli ultimi anni si sono sempre fermati ad Itri durante le loro scorribande italiane. Questa volta sono in due, i volti celati dietro maschere ricavate da fogli di polietilene espanso. Anastasia, sax al collo, indossa una casaccona fluorescente, Max è praticamente in mutande: sembrano due bizzarre creature radioattive fuoriuscite da Terminus Radioso, il romanzo di Antoine Volodine. Il synth punk dei russi, che a questo punto mi piacerebbe definire post esotico, è una festa di suoni degenerati e ritmiche spastiche.
I Metro Crowd, ultima incarnazione della piccola grande truffa “Borgata Boredom”, mettono in musica le nevrosi urbane non senza una buona dose di amara ironia, sul solco di formazioni come Pere Ubu e Devo. Sul palco sono in quattro: il frontman Vic Sinex, trench grigio e mascherina antismog, paradigma del pendolare metropolitano con tutto il corredo di tic e disagio annesso, e gli altri e tre, in mise da stradino, a trascinare l’esibizione su binari post-punk: Gabor in overdose da flanger, Ludovico abile ed efficace manovratore di basse frequenze e Toni che accarezza le pelli con la grazia di un fabbro.
Il gran finale è affidato a C_C, francese legato a stretto filo alla scena impro-noise napoletana, che va, per la gioia di tutti i presenti, ben oltre i quaranta minuti concessi alle altre esibizioni con la sua ridda di ritmi squinternati. L’ultimo set della serata è paradigmatico dell’atmosfera che da sempre si respira in quel del Mu.Vi.Ment.S.: C_C al centro della sala buia con il suo multitracce e la postazione zeppa di aggeggi infernali e nastri, la gente intorno a far festa, a danzare in maniera scomposta e gioiosa. Lo spaccato di un festival in cui il termine popolare assume il suo significato più autentico, in cui cade ogni steccato fra l’artista e il suo pubblico.
Il Mu.Vi.Ment.S. dovrebbe essere preso a modello per chiunque abbia voglia, in Italia o altrove, di organizzare manifestazioni musicali, in ragione della sua capacità di essere evento culturalmente rilevante messo su con gran gusto e competenza seppur con pochi mezzi, grazie alla credibilità acquisita negli anni e alla capacità di fare rete con realtà a esso simili. Per questo chi vi ha suonato in passato vuole tornare a farlo e chi lo fa per la prima volta ne rimane entusiasta, almeno quanto il pubblico che se ne torna a casa immancabilmente con un bagaglio più ricco di suggestioni e rapporti personali.
Un ringraziamento a Lucia Soscia e Francesca Colavolpe per le foto.