PLANKS, Ralph Schmidt
I Planks sono artefici di una formula molto personale, un blend che con l’ultimo album ha raggiunto un nuovo livello nell’unire postcore, black metal, crust e dark-wave. Scontato che decidessimo di approfondire con loro l’argomento.
È uscito da poco il vostro disco per la Golden Antenna, come è nata questa collaborazione e come siete entrati in contatto?
Ralph Schmidt (chitarra, voce): Io e Frank conosciamo Timo da tempo. Grazie a label e distro, da parecchio lui è parte vitale della scena hardcore e metal tedesca. Con la Golden Antenna ha già fatto uscire lavori che ci piacciono, così, quando ci ha detto che era interessato a fare il nostro album, ne siamo rimasti entusiasti. È successo quando abbiamo suonato nella sua città con i Tephra: apprezzava già le nostre vecchie cose ma è rimasto colpito quando gli ho detto della direzione che volevamo prendere con il nuovo materiale. Abbiamo suonato dal vivo alcune delle nuove cose e gli sono piaciute, così abbiamo ragionato sulle varie possibilità ed è nato il tutto.
Funeral Mouth appare come un incredibile mix di elementi diversi, amalgamati all’interno di una formula personale. Sembra persino avere un piede nella dark-wave, grazie ad alcune linee melodiche piene di malinconia e disperazione. Possiamo considerarlo un risultato del vostro background o una semplice coincidenza?
È un mix di un’evoluzione naturale e di scelte consapevoli. Ho sempre scritto materiale con cui mi trovavo perfettamente a mio agio, che poi è ciò con cui sono cresciuto. Tentare di miscelare questi generi differenti in quello che è il suono dei Planks ha fatto sì che gli ultimi due album venissero fuori così. Suonare sempre la stessa cosa non aiuta a sviluppare passione. Il primo disco aveva questo problema e alla fine ci siamo stufati presto di riproporlo. Il nuovo materiale, invece, è il risultato dell’incontro perfetto tra le influenze di tre individui con marcati gusti personali per quanto concerne la musica. Se tutti e tre siamo soddisfatti del risultato, allora è qualcosa per i Planks, altrimenti lo accantoniamo o ci lavoriamo ancora sopra.
Amo la definizione “sounds like Darkthorne and Isis teaming up to play The Cure covers”: è qualcosa che vi dipinge ancora o siete cambiati nel frattempo?
Direi di sì, visto che l’ho scritta io. Riassume bene ciò che siamo. Gli Isis hanno sempre avuto queste armonie intense e la malinconia nei loro brani. Suonavano pesanti e al contempo melodici, ma non sdolcinati. I Darkthrone sono chiamati in causa più che altro per il ritmo con cui suonano i loro blastbeat. Ho sempre ascoltato le vere band norvegesi fino alla seconda ondata, non suoniamo di sicuro come gli Emperor o gli Immortal, piuttosto è la versione crusty del black metal a inserirsi alla perfezione nel nostro suono. Infine, i Cure sono semplicemente una delle mie band preferite di sempre. Sanno scrivere brani malinconici e toccanti lunghi tre come otto minuti, che è un po’ ciò che proviamo a fare con la nostra musica.
Percepisco la vostra musica come un qualcosa in grado di creare quadri dal forte impatto emotivo, tanto da suggerire un forte coinvolgimento personale, quasi si trattasse di finestre aperte sui vostri sentimenti più profondi. Mi sbaglio?
Ci hai preso al cento per cento. I Planks sono l’unico modo in cui riesco ad esprimere quello che c’è in me. Non sono il tipo che parla troppo con gli altri. Provo a lasciar andare le emozioni che ho dentro dipingendo in modo metaforico con le parole e la musica. Le persone possono comprendere ciò che sento, sempre se hanno interesse a leggere i miei testi, così come possono interpretarli e scorgere connessioni. Nella mia mente ho sempre milioni di linee formate da ciò che mi ha colpito e nello stesso modo scrivo i miei testi. Mi fa enorme piacere sapere che alcuni trovino importante ciò che scrivo e che qualcuno dei miei testi rappresenti ciò che anche loro sentono. Non è una cosa che desidero, ma fa piacere. Soprattutto perché riesco a scrivere o cantare solo di ciò che realmente provo, non riuscirei mai a parlare nei miei testi di politica o di come va il mondo, ma solo del mio microcosmo.
Rimaniamo sui testi. Te ne occupi sempre da solo?
È solo compito mio. Non potrei mai cantare qualcosa di emotivo che non sia passato attraverso di me, almeno non con questa band. Inoltre, gli altri due non hanno alcuna intenzione di scrivere i testi. Al contrario, io gli mando il mio lavoro e loro lo commentano, ma almeno finora non ci sono state lamentele.
Anche l’artwork dell’album ha un forte impatto. Come avete conosciuto Oliver Hummel e come vi siete mossi per realizzare le grafiche di copertina? Gli avete fornito delle linee guida o avete lasciato che fosse libero di dare un’immagine alla vostra musica?
Oliver ha realizzato tutte le copertine degli Omega Massif, che adoro. Quando, cinque anni fa, abbiamo deciso di realizzare una prima maglia, l’ho contattato e lui ha realizzato due maglie e la copertina del nostro primo disco. Quando, poi, abbiamo cominciato a lavorare al nuovo album, ci ha detto che avrebbe voluto collaborare ancora con noi. È una persona con cui è facile lavorare insieme e fa grandi cose. Io avevo una visione precisa di come la nostra musica dovesse apparire. Non sarei mai stato capace di dire: come credi che appaia la nostra musica? Non è il mio modo di lavorare. Piuttosto, gli ho detto ciò che avevo in mente, lui aveva alcune immagini che aveva realizzato ed erano grandiose. Da lì in poi siamo andati avanti a scambiarci mail con idee e suggerimenti. Ha un gusto incredibile e non è stato difficile per lui adattare le sue idee a ciò che avevo in testa. Il risultato è un artwork che rispecchia sia la musica sia le parole. Siamo davvero eccitati di come tutto sia al posto giusto.
Cosa mi dici dei vostri live, che tipo di pubblico attirano?
Dipende, noi possiamo suonare in molte situazioni differenti. Abbiamo diviso il palco con gruppi black metal, punk rock e persino grind. Preferiamo, però, suonare show con una buona varietà di stili, così puoi raggiungere gente diversa. In linea di massima suoniamo all’interno del circuito diy/hardcore in Germania, abbiamo al suo interno molti amici e band con cui ci piace stare insieme sul palco. Ne escono sempre gran concerti.
Qualche progetto per tornare in Italia nei prossimi mesi?
In realtà no, siamo passati a giugno ed è stato grandioso, per cui ci torneremo di sicuro, ma il nostro lavoro e la nostra vita sociale ci lasciano poco spazio per i tour, per cui cerchiamo di andare in posti dove non siamo mai stati. Ma sta sicuro che ci torneremo, anche perché nell’ultimo tour abbiamo stretto delle bellissime amicizie.
Se ne aveste la possibilità, quali band portereste in tour con voi?
Tombs e Junius sono ottimi amici, band che ci piacciono e ottime persone. Quindi, saranno sempre la nostra prima scelta. A parte questo, sceglieremmo gruppi con cui abbiamo un qualche legame, almeno a livello personale. Per quanto mi riguarda vorrei fare un tour con quattro/cinque band che amo, così da potermele vedere dal vivo. Ma credo che un giro con The Cure, Russian Circles, Deftones, New Model Army, Wolves In The Throne Room, Isis e Planks sarà ben difficile da realizzare.
Last famous words…
Grazie per l’intervista e un saluto agli amici italiani che abbiamo conosciuto questa estate.