PLANKS, Perished Bodies
Con il nuovo capitolo giunge al termine la trilogia sul progressivo isolamento personale e sull’esilio autoimposto iniziata con The Darkest Of Grays e proseguita con Funeral Mouth, ma si chiude anche l’intero viaggio dei Planks, visto che questo album rappresenta il loro commiato e saluto finale. Se finora i contatti con certa darkwave erano stati sempre ben evidenti (la band non ha mai fatto mistero della presenza dei Cure tra i suoi numi tutelari), oggi tutto prende ancora più corposità e acquisisce un mood a cavallo tra Ottanta e Novanta che non si limita ad un solo filone, ma tocca anche (e in modo inatteso) territori di confine tra post-punk e noise-rock. Questo finisce poi per marchiare a fuoco il dolente “post-tutto” dal taglio oscuro caratteristico della formazione, dandogli un impatto emotivo che colpisce e lascia il segno su chi ascolta. La scrittura, insomma, si è fatta meno aggressiva e le sfuriate sono in secondo piano rispetto alle aperture malinconiche: questo processo alla fin fine permette ai Planks di differenziarsi dal trend imperante del blackened-core con una miscela meno estrema eppure (o forse proprio per questo) altrettanto convincente. Certo, l’inserimento di una voce femminile e di un cantato profondo in “She Is Alone” è da sconfino nel goth, tanto che la band rischia di perdere la strada maestra per abbracciare una deriva forse troppo stucchevole, eppure con un colpo di reni il tutto torna a posto e si ristabilisce l’ordine, relegando la sbandata a un semplice cameo che nulla toglie alla riuscita finale del brano, figurarsi del disco. Non si tratta sicuramente di qualcosa che farà la gioia dei fan più estremi o di quelli che mal sopportano un certo “decadentismo”, ma sembra anche la logica conclusione di un percorso, visto che il gruppo ha sempre cercato di flirtare con altri linguaggi, fortunatamente con una ben delineata visione della tavolozza di colori da utilizzare. I suoi stessi autori hanno definito Perished Bodies come il loro Disintegration: con la giusta cautela e buona approssimazione – vista l’irraggiungibilità del termine di paragone prescelto – possiamo concordare sul fatto che quest’album rappresenti l’apice e il perfetto addio di una realtà che forse in troppi si sono affrettati a sminuire, considerandola il prodotto di un trend ormai usurato. Ad avercene.