PIERRE-YVES MACÉ, Rhapsodie Sur Fond Vert
Pierre-Yves Macé è un compositore parigino del 1980 per il quale la definizione di genio non suona come un’iperbole. Discograficamente debutta nel 2002 sulla Composers Series di John Zorn con il folgorante Faux Jumeaux (2002), per poi lavorare per l’Ensemble Intercontemporain fondato da Pierre Boulez, per la Hong Kong Sinfonietta e incidere per prestigiose etichette avant come la belga Sub Rosa. Ora, a sei anni di distanza da Segment Et Apostilles, sempre su Tzadik, Macé torna con un disco caleidoscopico ed illuminante: Rhapsodie Sur Fond Vert.
Otto imprendibili movimenti tra elettronica, contemporanea, ambient, musica concreta e l’imprevedibilità del miglior jazz. Viola, violoncello, flauto basso, celesta, trélombarde (un tipo di cornamusa proveniente dalla Bretagna), field recordings, un non meglio identificabile speaking cello e l’elettronica mutante dell’autore, che assembla tutto con orchestrazioni stupefacenti, come uno Stravinskij perso in un oceano glitch o un compositore elettroacustico con un cuore irrorato da sangue novecentesco. Languori ambient, superfici abrasive ed astratte sulle quali si stagliano enigmatici profili di archi come cattedrali in un deserto armonico (tre parti hanno per titolo “Inharmonic Étude”), vertigini di puro suono, un’idea di composizione liberissima, rigorosa, lucidamente folle, surrealista, nitida e al tempo stesso enigmatica. Macé definisce questo disco, per il quale davvero si faticano a trovare parole e termini di paragone tanto prorompente è la personalità del musicista, un’esplorazione del concetto di disturbante stravaganza. E proprio a magnifiche, incatalogabili anomalie, come creature degli abissi marini che mai vedono la luce sembrano ispirate queste composizioni, sospese in un qualche luogo tra le nubi dell’ambient meno didascalica, le ruggini incomunicabili della contemporanea più austera, quella terra di nessuno tra scrittura e improvvisazione, tra calore acustico e bagliori artici e digitali che anima, sebbene qui siamo su territori del tutto differenti, certe pagini di un Evan Parker, ad esempio (vedi l’ultimo, ottimo lavoro su Intakt, Crepuscule In Nickelsdorf) e una febbre poetica che esonda dagli argini di una creatività torrenziale. Da brividi il requiem da un altro mondo di “Finsteren Zeiten (Ein Karussell)”, con la voce di Bertolt Brecht che recita nel 1953 il poema “An Die Nachgeborenen” (“A coloro che verranno”, scritto nel 1939 dall’esilio danese, con palesi riferimenti alla dittatura nazista), dove sembrano sovrapporsi orchestre che suonano da universi lontanissimi:
Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.
Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.
Rhapsodie Sur Fond Vert è un gioiello pubblicato dalla francese Brocoli alla fine del 2019 e Pierre-Yves Macé è un cervello in fuga verso altre galassie, capace di scrivere una musica profondamente umana ed aliena al tempo stesso. Non fatevelo scappare.