PIER LUIGI ANDREONI / FRANCESCO PALADINO, Aeolyca

La prima descrizione dell’arpa eolia risale al Diciassettesimo Secolo ed è di quell’incredibile personaggio che fu il padre gesuita Athanasius Kircher, sorta di Leonardo da Vinci dell’epoca, che ci racconta di una sua invenzione del tutto simile a questo strumento. Stiamo parlando di un congegno singolare, suonabile dal vento e non dall’uomo, che sarebbe diventato nel secolo successivo un simbolo dell’estetica romantica (oltre che spesso ospite delle dimore signorili in Germania e Inghilterra), perché fonte di una musica selvaggia e ingovernabile, intermediaria fra arte e natura. In ambito strettamente musicale, le tracce dell’arpa eolia sono poche: sembra che compositori classici come Chopin (Studi per Piano, Op.25, n.1 in La bemolle maggiore) e Berlioz (nella sinfonia Romeo e Giulietta) si siano ispirati al suo suono e, venendo a cose a noi più vicine, arriviamo a Jan Garbarek, che la utilizza come sfondo in un brano del 1977, e a Bonobo, che forse l’ha campionata in un brano di Black Sands. Per il resto è legata principalmente alla figura di Mario Bertoncini: il pianista, membro del Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza, dagli anni Settanta fino al Duemila ha infatti collezionato tutta una serie di registrazioni di sole arpe eolie, oggi contenute in un cd pubblicato nel 2007 da Die Schachtel.

Aeolyca è del 1989, esce su cassetta con una diffusione molto limitata. Nasce dalla collaborazione tra i suoi due autori, Pier Luigi Andreoni e Francesco Paladino, e Mario Ciccioli. Quest’ultimo vive e opera tuttora a Tuscania, in provincia di Viterbo, dove, partendo da una formazione artistica, ha iniziato a costruire strumenti con materiali di riciclo e a realizzare sculture sonore. Andreoni e Paladino, invece, in quel momento erano negli A.T.R.O.X., audace formazione new wave piacentina già nel catalogo della mitica Contempo. L’esito di questo incontro, avvenuto in una delle prime edizioni del festival pugliese Time Zones, è un disco che si discosta parecchio, nella forma e nell’umore, dal materiale raccolto da Bertoncini. Al pur affascinante immobilismo ritmico di quest’ultimo si contrappone il dinamismo estremo della title-track, che è divisa in due parti, una messa all’inizio e una alla fine dell’album. Inizialmente statica, comincia a muoversi e a stratificarsi, a ingrossarsi fino a farsi minacciosa e poi di nuovo inerte. Invocazioni sinistre e poi melanconia sintetica in forma di melodia ci portano fino alle tracce centrali, che fanno un po’ da contorno: “Rain On The Bells”, diafana, e altre due in cui le arpe eolie, seppur presenti, lasciano il campo a ottoni (sempre sintetici) tronfi e incalzanti. Poi è la volta del secondo spezzone di “Aeolyca”, scandito da un battito metronomico su cui si abbarbicano volute aeriformi, padrone della scena fino all’entrata di elementi new age.

Forti delle tecnologie dell’epoca (un synth Yamaha e un sampler Roland S-50 con quello che per quegli anni era un patrimonio di quasi trenta secondi campionabili), Andreoni e Paladino sposano la leggiadria delle sculture di Ciccioli con una struttura ritmica complessa e avvincente: non è un compito semplice per via della natura evanescente delle arpe eolie, che possono essere sopraffatte dal resto, con cui tra l’altro non sono troppo armonizzabili.

La ristampa, su tradizionale vinile nero o su un più estroso vinile trasparente, è a cura di Soave.