PHEW, New Decade
Fra i protagonisti – in maniera un po’ inaspettata – di questo 2021 possiamo annoverare a pieno titolo Hiromi Moritani, in arte Phew: negli ultimi dodici mesi, infatti, hanno visto la luce la ristampa dell’unico disco in studio dei suoi Aunt Sally, datato 1979, quella del suo esordio (con Connie Plank in cabina di regia e ospiti Holger Czukay e Jaki Liebezeit), la collaborazione con John Duncan e Tatsuo Kondo pubblicata da Black Truffle e il ritorno dopo quasi trent’anni su etichetta Mute con questo New Decade.
Come lascia presagire il titolo, si tratta di una estesa antifona d’ingresso a un decennio che si configura come tragico: la narrazione di Phew prende le mosse proprio da marzo 2020, l’inizio della pandemia, che nella prima traccia viene raccontato nella descrizione dello scendere lieve della neve e del polline, due eventi che non hanno uno sviluppo lineare ma ramificano nell’aria con movimenti imprevedibili, una metafora perfetta di un momento storico permeato dall’incertezza. La musica è la colonna sonora esatta dello svuotamento delle esistenze, di un ripiegamento su sé stessi che diventa istinto di conservazione, del tempo che sembra scorrere ineguale. Come sempre i brani di Phew sono strutture ridotte all’osso, synth tenuti in vita da drum machine, oppure da percussioni appena accennate ma sottoposte a un fine lavoro di intreccio, su cui si innesta il canto dimesso della giapponese, che è poco più che recitare. Le sei tracce sembrano tutte improntate allo sforzo di un controllo quasi ascetico, che ricorda da vicino le performance di quei sadhu indiani che votano la propria esistenza all’immobilità assoluta, cercando di fermare persino il respiro; i pochi momenti di fuga prendono forma in tachicardie, stridore oltre il limite del fastidio, chitarre che sembrano bruciature su una tela di Burri.
Phew riesce, qui come lungo il suo intero percorso artistico, a tenere insieme la lezione dei Suicide e quella dei paladini del krautrock, la new wave e la no wave, la tradizione orientale e uno sguardo verso il presente, a spingersi verso soluzioni anche estreme senza risultare indigesta.