Petter Ottosson & Fang Bomb, e Paul Baran
Quando Ed Benndorf di Dense (mio abituale pusher di suoni astratti e sperimentali) mi mandò l’ultima carrellata di promozioni via mail, il nome e l’immagine di Paul Baran mi colpirono subito. Sperimentatore scozzese, uscita intitolata Pan Global Riot e targata Fang Bomb. Scrivo quindi ad Andrea Giommi, mio basista londinese, che con i suoi Sons Of Viljems (in compagnia con Nejc Haberman) e l’ospite speciale Filip Sijanec su Fang Bomb hanno pubblicato il delizioso 7”Jelena/Steaming Black Sea. La notizia è che Andrea aveva in saccoccia un’intervista con il boss dell’etichetta, Petter Ottosson, fatta qualche tempo fa. Occasione troppo ghiotta per non approfittarne, ed eccoci qui per una carrellata su Fang Bomb, la recensione di Paul Baran e l’intervista a Petter Ottosson.
Fang Bomb ha inizio in Svezia, con due dei gruppi più rinomati nella scena out noise. È il 2006 e l’opera è un 7” condiviso fra Skull Defekts e Wolf Eyes. Per 17 anni ha giocato, fra la Scandinavia e l’Inghilterra senza soluzione di continuità, pubblicando collaborazioni grosse e di richiamo come l’album Blank Grey Canvas Sky dove si incontrano Peter Broderick e Maschinefabriek, ma anche acts più noise come Trapaneringsritualen, ferine sperimentazioni vocali come quelle portate avanti da I Am A Vowel e sperimentazioni su frequenze radio come quelle di Imaginary Forces. È un mondo aperto e libero, nel quale personalmente era impossibile non immaginarmi, portato avanti tanto da Petter per Fang Bomb, quanto da me medesimo promosso durante le mie esperienze di produzione musicale: il fil rouge è dentro la mia testa, il disco è il prodotto, nel caso seguitemi. Non una scelta senza compromessi, semplicemente l’unica via per noi possibile.
Quando, dove, perché hai aperto l’etichetta?
Petter: Ho iniziato Fang Bomb a Göteborg, in Svezia, nel tardo 2005 e la prima produzione è uscita nel 2006. Prima di Fang Bomb avevo una fanzine chiamata Fat Bankroll, una webzine per la precisione. L’avevo iniziata con alcuni amici qualche anno prima. Era un magazine di lifestyle per persone inserite in contesti musicali come l’elettronica e il reggae, la musica industriale, o interessate a giochi da collezione….
Reggae? Seriamente?
Beh, dancehall! C’era anche un sound system, che era uno spin-off della webzine. Ha suonato qua e là per un po’. Io ero di base a Göteborg, gli altri membri a Malmö e a Stoccolma, e anche in altre città. Ha funzionato per quattro o cinque anni prima di spegnersi. Abbiamo anche pubblicato un libro con le migliori pagine della fanzine. Non è stato un grande successo, ma non mi sono dato per vinto e ho deciso di aprire un’etichetta discografica.
Degli amici avevano appena iniziato a suonare con il nome Skull Defekts, quindi ho deciso che la prima uscita dovesse essere uno split, con gli Skull Defekts da un lato e i Wolf Eyes dall’altro. Ovviamente, all’epoca le nostre copie arrivarono a Göteborg giusto una settimana dopo il concerto dei Wolf Eyes, con un timing veramente pessimo… non è mai stato facile. Ma poi lo split è andato esaurito in pochi giorni! Così ho cominciato a pensare che Fang Bomb potesse funzionare, e 15 anni dopo Fang Bomb è ancora qui.
Tra il magazine punk-reggae-industrial ed i Wolf Eyes qual è stata la luce che si è accesa proiettandoti nella produzione musicale e come scegli ancora quale musica far uscire?
Quando pubblicai i Wolf Eyes pensavo che la loro musica avesse molto in comune con il tipo di estetica che volevo sposare e proporre. Erano parecchio attivi al momento e pensai che fosse una buona idea presentare una nuova etichetta al pubblico tramite un gruppo al quale i media di settore stavano già dando attenzione. Ma in generale possiamo dire che ho sempre scelto solo roba che amo. Non c’è nessun fil rouge tra le produzioni. È soprattutto una questione di energia, di qualcosa che cattura il mio interesse. Trovo questa energia nella musica noise, o in quella metal, o in musica intricata e ricca di dettagli. È una questione di vibrazioni, generalmente. Lasciami aggiungere che non c’è mai stato un vero approccio commerciale nel guidare l’etichetta, e questo è provato dalla varietà delle produzioni, e nelle distanze temporali fra una produzione e l’altra durante gli anni. Ci sono periodi nei quali Fang Bomb è molto attiva ed altri in cui è dormiente, anche per lunghi periodi. Non puoi seguire Fang Bomb perché appassionato di un determinato suono, perché non ce n’è uno in particolare che la rappresenti. E riguardo ai prolungati periodi di inattività, sembra a tratti di dover ricominciare da capo ogni volta e di dover risvegliare tutti i nostri ascoltatori quando torniamo. Comunque, Sons Of Viljems sono la cosa più vicina al pop che abbiamo mai prodotto. Il concetto di lambire un genere senza mai identificarvisi totalmente è la chiave qui. È quello che rende la band assolutamente unica.
Credo che oggi ci siano molte divisioni musicali fra generi e sottogeneri, un’etichetta guidata da scelte istintive è molto stimolante dal mio punto di vista. Viviamo in una foresta di algoritmi, target di mercato, playlist, credo che ci siano troppi fattori che contribuiscono ad ottimizzare e ridurre i modelli dell’esperienza musicale. Lo vedi anche tu come un problema?
Mmmh, ci sono state molte etichette, penso a nomi come Warp o Mego, che sono state magnifiche nel trovare nuove idee alle quali nessuno aveva avuto accesso fino ad allora, e queste idee e stili innovativi hanno definito il loro suono. Non so, in Fang Bomb c’è probabilmente una linea, ma questa linea è molto personale. Penso che la musica targata Fang Bomb raramente suoni come “il suono del mondo là fuori” ed è molto più divertente in questo modo.
Credi nell’idea di andare controcorrente…
Sì… mi piacerebbe dirti che sono i miei principi punk a dettarlo, ma credo di essere soltanto testardo. C’è una ragione per la quale sono solo io a lavorarci, ed è perché posso prendermi mesi e mesi per curare una nuova produzione. Faccio la maggior parte del design, stampo, taglio, riempio, impacchetto, lavoro alla promozione. Nessun altro ama esattamente quello che faccio come lo amo io, quindi diventa un’operazione singolare. Ed amo l’aspetto fisico della creazione, mi piace vedere qualcosa materializzarsi, nascere… prima non c’era. Ed ora esiste.
Hai mai pubblicato musica composta e suonata da te?
Non molto, giusto un paio di tracce su delle compilation, la maggior parte nel biennio 2008-2009. Dovevano essere anonime, ma l’anonimato non ha funzionato a lungo. Il progetto si chiamava 0100000 e, chi lo sa, potrebbe tornare prima o poi. Era una sorta di collage music fantascientifica sulla fine del mondo. Montaggi, cut-up…
Credi che l’essere svedese e l’aver vissuto in Svezia per lungo tempo abbia influenzato il tuo gusto?
Certo, ho vissuto in Svezia per una vita! C’era un sacco di roba buona che usciva da Göteborg quando vivevo lì e ne esce ancora oggi di ottima! Ovviamente conoscere diverse persone lì, sentire le loro produzioni, vedere i concerti, pubblicare alcune cose, tutto questo mi ha influenzato tanto.
Nostalgico?
No. Devo dire che in questi ultimi tempi mi sono ritrovato a guardare il mio passato, comprando dischi che avrei dovuto prendere anni fa e che non acquistai. È molta roba che uscì prima che sviluppassi un gusto musicale definito. Probabilmente non lo avrei fatto dieci anni fa. Non so se sia un segno di nostalgia, probabilmente è stato solo il risultato dell’avere più tempo fra le mani durante il lockdown.
Come ti trovi a Londra? Trovi stimolante vivere qui per quanto riguarda l’etichetta, o è una questione principalmente privata?
Questa è una buona domanda! Mi sono trasferito qui per questioni personali. Per quanto riguarda l’etichetta, l’influenza londinese va e viene. I primi mesi dopo il mio trasferimento non avevo un lavoro, quindi avevo tanto tempo da dedicare all’etichetta. Ma penso che abbia maggiormente a che fare con la questione del tempo piuttosto che alla posizione geografica. Generalmente penso a Fang Bomb come un’entità senza fissa dimora. Detto ciò, è anche vero che sono ancora qui, e quindi Fang Bomb ora ha più a che fare con il regno Unito e con la sua scena di quanto ne avesse prima.
Avete novità in vista su Fang Bomb?
Sì, ci saranno due nuove releases proprio questa primavera.
La prima è proprio questa settimana: si tratta di un doppio album di Paul Baran, uno sperimentatore scozzese. Fang Bomb fece uscire il suo album nel lontano 2009, e questo sarà il suo terzo per l’etichetta. È materiale indescrivibile, suona diverso da tutto, o forse suona come un sacco di cose insieme, The Wire ha descritto il suo disco precedente come “small tales of dread and alienation”, o qualcosa di simile, e penso che sia una descrizione ancora valida. È un doppio cd, si intitola Pan Global Riot.
In seguito avremo l’album di MK/CT, duo di Chris Dreier da Berlino, che era un membro della formazione originaria di Die Tödliche Doris, e Tim Löhde, un artista di Düsseldorf; lo hanno scritto per corrispondenza, scambiandosi file e modificando passo dopo passo l’uno il lavoro dell’altro. È un grandissimo album e non vedo l’ora che sia fuori.
Da DJ, quale sarebbe la tua tracklist ideale, le prime dieci tracce?
Ho suonato come DJ di quando in quando, ma sono passati anni… credo che le mie scelte dipenderebbero dal mio pubblico, da dove sono e quando. Ma ti posso raccontare cosa ho appena acquistato e suonato recentemente a casa, e come suonerebbe un mio DJ set nell’ufficio casalingo se dovesse accadere ora:
Asmus Tietchens – Teilmenge 1 (From α-Menge, CD on Ritornell, 2000)
Policeband – Tow Away (From “Stereo/Mono”, 7” on Vacuum Records, 1979)
Die Form – Invalid (From “Die Puppe”, LP on Normal, 1989)
Stephen Mallinder – In Smoke (From “Pow Wow”, LP on Fetish Records, 1982)
Teja Schmitz – Studieren (From “Säuren Ätzen Und Zersetzen”, 7” on Slowboy Records, 2013)
Portion Control – All Present & Correct (From “I Staggered Mentally”, LP on In Phaze Records, 1982)
sh – 砕け散る陽炎 (From 深き森から, 7” on Zero Records, 1983)
B.C.Gilbert, G.Lewis – R (From “3R4”, LP on 4AD, 1980)
Astrid Øster Mortensen – Styrsö Kyrkorgel (From “Skærsgårdslyd”, LP on Discreet Music, 2022)
Alexander Borsig – Helmut, 35, Medizinstudent (From “Borsigwerke”, LP on Mauerstadtmusik, 2022)
PAUL BARAN, Pan Global Riot (Fang Bomb, 2023)
Il suono può essere miele, il suono può essere arma. Essere in grado di dirigere dei suoni a rappresentare uno scenario è sintomo di forza, strategia, convinzione. Paul Baran è uno stratega scozzese del suono elettroacustico e sperimentale e con questo doppio album si propone di farci entrare in un’esperienza acusmatica dalla durata di 130 minuti circa.
Pazzia? Sicuramente. Genio? Molto probabile…
Il dispiego di mezzi e di artisti è notevole nell’opera, strumentazioni classiche (piano, trombone, percussioni, violini, flauti cinesi, sassofoni, cornamuse elettroniche, violoncelli, contrabbassi, tabla) sposano programmazioni, manipolazioni, sintetizzatori, dispositivi di dubbio genere. Quel che ne esce non assume mai le forme di uno zibaldone, anzi, cresce in volume ruotando su sé stesso, come se un grande maestro coordinasse tutta l’operazione per farci deliberatamente confondere, facendoci ballare fino a perdere la trebisonda e colpirci, ormai esanimi, con stilettate di rumore. C’è il funk, c’è lo spippolamento di strumentazioni che giungono a noi come dei flash visuali, ormai accecati da uno stordimento che a tratti ci riporta a quanto sperimentato da Nmperign tempo addietro, poi forse solo il rumore del vento. In alcuni momenti pare quasi di sentire dei godfathers del soul o del gospel (come in un’inquietante “Scottish Cyborg”) mandati in un inferno sotto metedrina. Poi staffilate da dancefloor in grado di risvegliare il piccolo Chris Korda che è in me. Al contrario, bastano un’aria vocale o un giro di pianoforte, come nelle toccanti “Logos” ed “African Cyborg”, per lasciarci basiti, minuti di pura bellezza e commozione sonora. Il primo atto sta per chiudersi, con movenze che sembrano prendere succhi da pozze dub senza però indugiare sui loro bassi. La sensazione è quella di muoversi in un mondo ormai disabitato, una via di mezzo fra le sale da ballo vuote di The Caretaker e gli scenari di film come “Contagion” o “28 Days After”. Le voci? Registrate. Gli elicotteri? Comandati da remoto, siamo soli.
L’inizio del secondo disco sembra insistere sulla materia del suono. All’inizio c’è di nuovo quel sentimento di solitudine, di dub mortuario, di beat fine a sé stesso, ma poi… i fiati, i respiri, onde che si muovono e un tessuto che si alza e si libra per pochi secondi. “Zero-Sum Game” è dolente, di un cordoglio che forse sta a significare che piangere per qualcosa ha ancora un senso in determinate parti del mondo. “China (For Weiwei)” è lunga e sontuosa danza che riprende stilemi della musica tradizionale in veste leggera e soave, anche se forse sarebbe risultata maggiormente incisiva se ridotta di qualche minuto. “Mandelstam (Speak Truth To Power)” suona attendista, ondivaga e minacciosa. Con il passare delle tracce Pan Global Riot sembra assumere forme nuove: in alcuni frangenti quasi un documentario audio, in altre un puro fondale sonoro, dove l’ascoltatore, forte delle suggestioni recepite in precedenza, può viaggiare autonomamente. Altre volte, ed è bizzarro provare determinate sensazioni dopo un paio d’ore di ascolti, si rimane beati, nuotando in un denso liquido amniotico che è arrivato a circondarci ed a nutrirci. La chiusa, “Escobar”, sembra distruggere il tutto sotto gli attacchi di marchingegni e roditori che distruggono quanto posato su radici malevole, contorcendosi e facendoci tremare per l’ultima vista su quanto avremmo volentieri tralasciato.
Pan Global Riot è un disco importante e bizzarro, difficile dire quando sarà la prossima vota in cui lo ascolteremo, non ci verrà probabilmente in aiuto in situazioni legate alla condivisione con altre persone e goderne in solitaria potrebbe diventare addirittura preoccupante. Perché allora inciderlo? Ascoltarlo? Scriverne? Trovo difficile rispondervi, sono sincero. Ma ascoltatelo anche voi, fidatevi, ne riparleremo allora.