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Persevarare Diabolicum: due dischi We Insist! Records

Continua la meritoria e coraggiosa opera di documentazione della musica creativa italiana da parte dell’agguerrita We Insist! Records, con due nuovi lavori che è opportuno recuperare.

ALBERTO BRAIDA – GIANCARLO NINO LOCATELLI, From Here To There

From Here To Here è un bel disco in duo che vede in conversazione il pianista Alberto Braida, già protagonista di un bel solo per l’etichetta nel 2019 di cui abbiamo parlato qui, e l’ottimo Giancarlo Nino Locatelli al clarinetto, che ha avuto modo di recente di confermare tutto il suo talento nel tour della European Galactic Orchestra. Nove conversazioni nitide in una lingua familiare eppure felicemente ambigua, allusiva, tutte giocate in sottrazione, su dinamiche sottovoce, lasciando risuonare le pause ed i silenzi, salendo scale che portano sulla soglia di case abitate da strane presenze (“Flatus”) o intonando nenie languide ed austere (“Ninna Nanna”). Due musicisti ispirati e che non hanno bisogno di dire la propria verità ad alta voce, forti del magistero della loro arte custodita e trasmessa con talento, profondità, conoscenza. Un dialogo rarefatto e intriso di una vaghissima nebbia, come stare seduti sugli argini opposti di un fiume in un mattino di novembre giocando a nascondino (“Counterpoint”) o restano immobili in attesa di un Godot o dell’arrivo del nemico dal deserto della mente come in Buzzati (“Tropus”), mentre il mondo intorno accade e il tempo scorre lento ed indifferente alla nostra presenza. Tra fantasmi monkiani e pozzanghere dove piovono nuvole di jazz e di Novecento il disco passa, insinuante e sottile come fumo in una stanza, lasciando un’orma e il profumo impalpabile di una presenza.

KORR, Tombé de la voûte

Più aspro e meno accogliente il mood di questo trio, con Michel Doneda a soprano e sopranino, Filippo Monico a batteria e percussioni ed Andrea Grossi al contrabbasso. Cinque esplorazioni a picco sul vuoto, come camminare su una corda tesa a strapiombo sul silenzio o visitare un giardino zen progettato da giganti. Tra soffi, agguati, rimbrotti, pause, sincopi, silenzi, minacciose presenze, rumori ed attese il disco suona malmostoso e riduzionista, ma sa regalare i suoi lampi di scabra ed ispirata poesia a chi avrà la pazienza per aspettare, in particolare nella lunga quarta traccia, quasi venti minuti di agguati al prevedibile e di angeli che graffiano con le unghie i muri del suono.