PENTAGRAM + MOTHER’S CAKE + DOOMRAISER, 3/10/2016
Roma, Init.
Se c’è un gruppo che non è mai venuto a Roma e che in molti aspettavano, è quello di stasera.
I Pentagram hanno da poco pubblicato un disco, Curious Volume, che li ha spinti a fare un nuovo tour promozionale: tre le date italiane (Roma, Milano e Bologna). Nelle prime due ci sono di supporto i Doomraiser, che da tredici anni a questa parte portano alta la bandiera del doom metal romano. Il loro set dura poco, ma conferma gli standard elevati a cui il quintetto ci ha abituato dalla sua formazione fino ad oggi, sia in termini di resa dal vivo, sia di affluenza (con un Init già discretamente pieno, nonostante non siano neanche le 10 di sera).
Dopo toccherebbe agli Atomic Bitchwax, ma il gruppo ha annullato la sua partecipazione all’intero tour e a sostituirlo ci sono i Mother’s Cake. I viennesi ci propongono una quarantina di minuti di rock psichedelico ben suonato, ma un po’ scontato. Non colpiscono particolarmente ma nemmeno disgustano. Come appetizer non sono male, mettiamola così.
Cresce l’attesa per gli headliner, che salgono sul palco con “Too Late”, alla quale segue un’infuocata “All Your Sins”, che fa subito scatenare l’headbanging più impetuoso. Su queste pagine avevamo già parlato, in occasione della loro esibizione al Desertfest, di come dal vivo i Pentagram fossero fenomenali, ma quella sera con loro non c’era Victor Griffin (comunque presente al festival coi suoi In-graved)… Mai mi sarei aspettato dei livelli così alti. Se a Londra tre anni fa avevano un suono molto settantiano che lasciava qualche dubbio, quest’oggi sono una vera macchina da guerra: né troppo puliti, né troppo sporchi, sempre incisivi. Con una scaletta che comprende tutti i classici (“All Your Sins”, “Dying World”, “When The Screams Come”, “Sign Of The Wolf”, “Forever My Queen”… e da segnalare “Relentless” con al suo interno “Broken Vows”) e molto materiale nuovo, la loro esibizione è impeccabile. Bobby Liebling, che fuori dal locale sembra un vecchio malmesso, on stage è al massimo della forma, sia come voce, sia come showman. Non mancano le sue solite mosse un po’ ambigue (bacetti e strani giochi con l’asta del microfono), che però non lo mettono mai in ridicolo. Dopo una breve pausa nel backstage il gruppo torna con una parentesi un po’ più melodica: tocca a “Last Days Here”, “Be Forwarned” e alla conclusiva ed esplosiva “20 Buck Spin”, allungata tra distorsioni, assoli e scene improbabili, con Griffin che sballotta una cassa, la butta per terra e poi lancia la sua chitarra (non la Les Paul, ma un’altra Gibson nera con entrambe le spalle mancanti) contro la batteria, che viene fatta a pezzi assieme all’asta del microfono.
Alla fine del concerto ci sono solo strumenti danneggiati, tanti applausi e strette di mano. I Pentagram, che hanno sempre abituato bene il pubblico, qui si sono rivelati la band rock n’roll che non ti aspetti (perché di doom metal ce n’è stato veramente poco, a parte i riff poderosi e la chitarra ribassata di tono). Si riconfermano dunque un gruppo fondamentalmente cresciuto negli anni Settanta, che ha mantenuto un suono oscuro ma pure una forte componente blues, con un fuzz di grande carattere e mai troppo acido.
In un mondo come si deve, un gruppo così sarebbe tanto rispettato e apprezzato quanto i Motörhead, ma in fondo questo poco importa e vederli in un contesto così è piaciuto molto a tutti i presenti.