PAVOR NOCTURNUS, Ecatombe
Eugenio Mazza, indossati gli abiti di Pavor Nocturnus, diventa intrattabile. Ecatombe, il suo nuovo album uscito per Cyclic Law, ci riporta in quelle oscure segrete che tanto avevo apprezzato in Bosch. Il suono è leggiadro, come lembi di seta nera a muoversi sulle punte di archi ed elettronica, in “Maleficio”. Stralci cinematografici, scampanellii, “La Vergogna” felliniana di “8 e mezzo” e un mantice che a ondate sembra soffiare suono, prima che rintocchi gobliniani si facciano strada. Una cassa dritta rinforza il malessere e la brutta sensazione, un disagio misterioso che che non si scolla, fino alla fine del brano. In “Mattanza” sembra avere la meglio una stasi in cui gli archi si fanno tagli e dove dal terreno si alzino vapori e tradizioni lontane che riecheggiano di Rosacrux. Sono evocazioni, echi di qualcosa che è già successo ma che negli anni continua a suppurare, come luoghi fisici e mentali ormai corrotti. In un “Abisso” di quasi dieci minuti a manifestarsi sono venti gelidi nel buio, che creano due piani armonici a chiudere la sacca dove ci ritroviamo, senza di possibilità di uscita fra estasi ed immobilismo. Con supplica i tempi si stringono ed ad uscirne è forse una pulsazione aspra che ci richiede attenzione. È difficile sezionare il dolore e la proiezione di un intenso malessere, difficile descriverlo fedelmente. Molto più facile perdersi nel suo oblio, abbandonandosi ai suoi tempi e alla sua consistenza. Ecatombe conferma il talento di Pavor Nocturnus, presentandoci un artista maturo, in grado di operare chirurgicamente sulla materia sonora, senza peccare di eccessiva drammaticità né di superficialità. Un sarto, che ci cuce addosso un vestito su misura, che vista l’eleganza speriamo non sia quello dell’ultima occasione.