PAULINE ANNA STROM, Angel Tears In Sunlight
Un ascolto da non perdere e una storia che merita di essere rammentata. Ecco cosa ci spinge a parlare di Angel Tears In Sunlight, il primo album firmato Pauline Anna Strom da trent’anni a questa parte. Consegnata al culto grazie a un disco di debutto che nel 1982 la iscriveva nella cerchia dei pionieri del synth, l’artista statunitense, nata cieca a causa delle complicazioni di un parto prematuro, ha esplorato il potere multisensoriale della musica, vissuta come un legame connettivo tra fonti di energia ed esseri umani, trasponendo in note le visioni che si affastellavano nella sua testa, soprattutto nel buio delle ore notturne, dedicate alla massima creatività. Il disco di debutto di cui parliamo è Trans-Millenia Consort, che era poi anche l’alter-ego con cui l’americana della Bay Area si è fatta conoscere, perché, affermava, è una dichiarazione di ciò che sono stata nelle vite precedenti, di ciò che sono in questa vita e del fatto che nelle vite future sarò una consorte musicale del tempo. Quello che è andata a realizzare sino al 1988, da autodidatta appassionata di musica classica e influenzata da Klaus Schulze, Brian Eno e Tangerine Dream, immergendosi nel flusso dell’istinto, è stato da sempre descritto come un vero e proprio inner world dove passato, presente e futuro si sovrappongono, una sorta di mondo parallelo dalle coordinate sci-fi e pseudo new age dove, stando al magazine The Wire, coesistono tanto civiltà perdute, in stile Ursula K. Le Guin aggiungeremmo, quanto drone in meditazione.
Dopo aver venduto la sua attrezzatura analogica per necessità economiche ed essersi dunque presa per forza di cose una lunga pausa, Strom – ultimamente attratta dalle possibilità digitali – annunciava a fine 2020 un nuovo album, Angel Tears In Sunlight per l’appunto, stampato da quella RVNG Intl. che nel 2017 aveva già diffuso sul mercato una sorta di esteso “best of” dal prevedibile titolo Trans-Millenia Consort, rimettendone di fatto in circolazione il nome, ma moriva nel dicembre del medesimo anno. Angel Tears In Sunlight è dunque uscito postumo, sebbene il materiale che contiene sia inedito, ed è dedicato a un amico-collaboratore scomparso durante la sua lavorazione, John Jennings: da qui, l’universale titolo che in qualche maniera sublima la tristezza per la perdita e la luce di un nuovo inizio. Strom era attiva come consigliera spirituale e guaritrice, da sempre residente a San Francesco assieme ai suoi dinosauri in miniatura, ovverosia le sue iguane da compagnia Little Soulstice e Ms Huff (una parte dei proventi dalle vendite di Angel Tears In Sunlight andrà alla International Iguana Foundation).
Proprio nella solitudine del suo appartamento munito di terrario si è sviluppato, come d’abitudine operativa, Angel Tears In Sunlight, dalla composizione alle take in presa diretta, effettuate riservando grande attenzione all’apporto fornito involontariamente dalle macchine impiegate, dal sound più moderno e tagliente rispetto alle embrionali forme vintage degli esordi rispetto alle quali si pongono comunque in naturale successione, in un’incredibile fusione di ispirazioni metafisiche e tecnologiche. Dal pirotecnico comunicato stampa: plasmato da ritmi circadiani, Angel Tears In Sunlight è un osservatorio celeste di mosaici fonici terrestri. Strom scopre una simbiosi tra le frequenze hardware e le apparizioni della natura nello spazio dei toni organici del disco, emulando gli impulsi melodici del suolo primordiale. L’album trascende sia l’ombra sia la luce, cadendo in silenziose distese di suono come per non risvegliare gli animali antidiluviani, prima di librarsi tra le cime degli alberi dove i cieli antichi scrutano il traffico dei rettili e le implacabili piogge.
I nove brani qui presenti sembrano derivare dall’immaginazione di paesaggi e vegetazione trasposta poi in chiave sonora. L’attitudine è senz’altro fortemente psichedelica, ipotetico punto di incontro space ambient tra emanazioni contemporanee come il misticismo di una Kaitlyn Aurelia Smith, le sperimentazioni di Oneohtrix Point Never, la preveggenza di Holly Herndon, il minimalismo post-pastorale della Caroline Polachek di Drawing The Target Around The Arrow. “Tropical Convergence”, “Temple Gardens At Midnight”, “Equatorial Sunrise”, “Small Reptiles On The Forest Floor”, “Tropical Rainforest”, captando e riversando frequenze ipnotiche e oscillazioni dell’anima, conducono in un luogo sonoro umido, brulicante infinite sequenze di acidi nucleici. Un luogo rilassante, in cui la mente è però in continua esplorazione, nella produzione e successivamente nell’elaborazione degli audio-stimoli cosmici a cui è sottoposta. “Marking Time” è forse l’episodio più compiuto nel trasportarci in un’altra dimensione, quella a cui Strom ha in fondo aspirato per tutta la sua esistenza terrena.