PASCAL SAVY, Colour Fields
In occasione del recente Dislocations, co-pubblicato lo scorso maggio da Moving Furniture ed Experimedia, avevamo parlato di un album involontariamente dark ambient, con il quale il suo autore – il francese Pascal Savy – rifletteva pessimisticamente sulla violenza subdola e pervasiva del “realismo capitalista”, accogliendo la drastica e totalizzante teorizzazione del compianto Mark Fisher. Quel disco, infatti, era ispirato e dedicato al pensiero del filosofo e critico musicale scomparso prematuramente nel 2017: non esattamente quello che ascolti di sera, appena tornato a casa dopo una giornata di lavoro scandita dalla solita, alienante routine (o forse sì, poi alla fine lo ascolti). Era un lavoro politicamente consapevole, insomma; tale da sbatterti in faccia le ansie, le inquietudini e le preoccupazioni dei tempi in cui viviamo, tra le privazioni generalizzate e la scarsa appetibilità di una qualsiasi idea di futuro. Il qui presente Colour Fields, invece, sembra essere un affare molto più intimo e privato.
Colour Fields è il quarto album di Pascal Savy, uscito il 5 ottobre (in cassetta e in formato digitale) sulla belga Audio Visuals Atmosphere. Sette pezzi – sei dalla breve durata, mentre l’ultimo si protrae per poco meno di mezzora – all’insegna del droning oscuro, lento e pachidermico che tante volte ci è capitato di ascoltare su una label come l’italiana Glacial Movements: da finis terrae innevato. E sebbene l’etichetta parli di una varietà di fotogrammi ipnagogici e di una fervente immaginazione che oscilla tra scombussolamenti climatici e strane manifestazioni atmosferiche, noi saremmo portati a stringere il cerchio su quanto Savy ci ha confidato in un veloce scambio di mail. L’autore specifica che Colour Fields andrebbe riprodotto a volumi medio-bassi, così da “colorare l’atmosfera della stanza in cui lo stai ascoltando: da cui il titolo”: questo, giocoforza, rimanda al quasi omonimo movimento artistico dei vari Mark Rohtko, Barnett Newman o Kenneth Noland.
Pascal Savy ha poi aggiunto che Colour Fields – come si evince dai titoli delle tracce – esplora tematiche legate al sogno e alle allucinazioni. Perché allora non rielaborare l’esperienza dell’ascolto in base a sogni e allucinazioni personali? Così, capita di premere play e ritrovarsi nelle stanze antistanti un enorme laboratorio, ambienti spogli, lindi e gelidi. Il clima è asettico in questi corridoi così lunghi da lasciarci sperduti e disorientati (“No Ends On The Side” titola il terzo brano). Forse è in corso uno strano esperimento scientifico. È lecito, dunque, vivere quest’esperienza in uno stato di costante apprensione, come se ogni giro di lancetta fosse dilatato oltre misura (“Lost In A Mesh Of Time”). Ad esempio, sono davvero 28 i minuti della conclusiva “Three Moons Aligned”? Rispetto ai precedenti, il pezzo fornisce un maggiore sviluppo tematico, con un bordone cupo e limaccioso che cresce e si ritrae ciclicamente, a volte fingendo soltanto di emergere o, al contrario, di annullarsi.
A nostro avviso, più che nei “campi di colore” degli astrattisti americani, è in questa foto di Rebecca Norris Webb che l’ascolto di questi nuovi sette brani ci conduce. Sono gli angoli di buio e le ombre a mettere in gioco le porzioni di colore, a dare loro risalto attivandole per contrasto.