Paradise Lost: the fire burns (deep within mistrust)
Di recente su queste pagine abbiamo parlato molto bene di Obsidian, l’ultimo disco dei Paradise Lost, che ci riconsegna un gruppo in ottima salute e con ancora molto da dire. Per approfondire il loro discorso vi presentiamo anche quest’intervista con una delle menti della band, il chitarrista Greg Mackintosh. Il suo è un nome che a tutti gli amanti della musica estrema non è certo nuovo, perché ha contribuito a rendere il doom/death inglese celebre del mondo. Mentre gli altri due grandi pilastri di queste sonorità (My Dying Bride e Anathema) hanno portato avanti il discorso in altre maniere, ai Paradise Lost è spettato il compito di rendere questo sound più accessibile alle masse senza però snaturarlo del tutto. Così, soprattutto con Icon (1993) e Draconian Times (1995), sono entrate influenze post-punk e c’è stato un avvicinamento maggiore alla forma canzone. Potremmo aggiungere ulteriori considerazioni, oltre che su Icon (1997), sui due album su major, Host del 1999 e Believe In Nothing del 2001, ma andremmo troppo fuori tema (interessante, però, a questo proposito, il frangente dell’intervista in cui Greg usa la parola “cinismo”). In quest’ultima uscita viene un po’ riassunta tutta la carriera della band, ma non si cade mai nell’autocitazionismo. Mackintosh negli ultimi anni ha anche sperimentato contesti ancora più estremi con i crusters Vallenfyre e più di recente con il suo nuovo progetto Strigoi. L’ho raggiunto telefonicamente per fargli qualche domanda sulla sua carriera musicale, sul far uscire dischi in quarantena e su come, nei bei tempi andati, si potesse avere un gruppo ispirato ai Trouble, suonare assieme ai Napalm Death e farsi pure mettere sotto contratto da una delle etichette più rilevanti del metal estremo.
Ho ascoltato e recensito il vostro ultimo album, Obsidian. L’ho trovato uno dei vostri dischi migliori degli ultimi anni. È migliore del precedente, ci sono elementi tratti da diverse fasi della vostra carriera. Cosa ci puoi dire delle registrazioni e sulla composizione del materiale per l’album?
Greg Mackintosh: Sono contento che ti sia piaciuto! Ci sono voluti circa sei mesi per comporlo, dal primo riff fino alla fine del lavoro. È stato fatto tutto al doppio della velocità rispetto ai nostri dischi precedenti. Un po’ ha influito il fatto che il nostro modo di scrivere canzoni è cambiato. Sapevamo che sarebbe stato un disco doom metal, volevamo però renderlo più vario ma senza sapere come farlo, così abbiamo preso più elementi da più periodi del passato. Tutte le canzoni sembrano un discorso a parte: alcune sono più ispirate da Gothic, altre sono più doomy, altre – come la opener “Darker Thoughts” ed “Ending Days” – non saprei come classificarle. Non è stata una cosa pianificata, è uscito tutto in maniera naturale, ma siamo contenti di come le persone lo stiano apprezzando.
Personalmente ci ho trovato anche diverse influenze post-punk/darkwave. Alcuni momenti, come “Ghosts” e le tastiere iniziali su “Forsaken”, ricordano molto i Sisters Of Mercy (in questo caso “This Corrosion”). È stata una coincidenza o il riferimento a loro è voluto?
In realtà avevamo in mente un po’ tutto il gothic rock. Le canzoni con la voce femminile sono state più ispirate da Siouxsie And The Banshees, per altre invece (per le parti di chitarra) ci siamo rifatti ai Christian Death o ai primi Cure. Su pezzi come “Ghosts” il riferimento è evidente: quel tipo di gruppi si basano soprattutto su basso e batteria, le chitarre sono un po’ la ciliegina sulla torta. Non sono “riff oriented”, se hai capito a cosa mi riferisco. Ci tenevo ad inserire questo tipo di elementi del disco.
Prima hai detto che i pezzi di Obsidian sono nati in maniera diversa rispetto a quelli dei suoi predecessori. La differenza quale è stata?
Abbiamo fatto diversi esperimenti coi suoni per le chitarre. Dischi come Gothic e Medusa hanno suoni molto simili, per questo invece ho registrato la maggior parte delle tracce di chitarra nel mio studio a casa. Ho avuto più tempo per sperimentare anche un po’ di pedali (che ottenevano un effetto un po’ elettrico e un po’ acustico). Questa è stata la differenza fondamentale.
Questo è il secondo disco che fate uscire su Nuclear Blast. Come vi state trovando con l’etichetta?
Non ci siamo mai trovati male in passato con le etichette precedenti, a dire il vero. Eravamo a posto con Century Media, finché non è stata assorbita dalla Sony. Eravamo pronti a firmare un nuovo contratto fino a quando non hanno licenziato molte persone con le quali avevamo lavorato e così abbiamo optato per la Nuclear Blast, che ha fatto un buon lavoro. Ironia della sorte, diverse di quelle persone che erano prima con Century Media sono state poi assunte da Nuclear Blast, quindi in sostanza abbiamo lavorato con gli stessi di prima, ma su un’etichetta diversa. Sono persone appassionate della musica che producono, o almeno del genere. Questo rende il tutto più autentico. In passato siamo stati sotto major e abbiamo avuto a che fare con gente che non era molto appassionata di quello che faceva e rende il tutto più “cinico”. Ci ha ricordato quando durante gli anni Novanta eravamo con Music For Nations e lavoravamo con dei veri fan della musica, con i quali potevamo parlare apertamente dei gruppi ai quali ci ispiravamo.
Ironicamente, è anche la prima volta dopo molti anni che voi e i My Dying Bride vi trovate di nuovo sotto la stessa label.
Vero, è dai tempi della Peaceville che non succedeva! Credo che anche loro abbiano fatto un buon lavoro con il loro ultimo disco. Tra l’altro, il nostro vecchio batterista ora suona con loro.
Come sta andando la promozione del disco? In questo momento siamo nel bel mezzo di una pandemia e tutti i tour e i festival sono stati cancellati o rinviati. Come vi state muovendo adesso che avete un album nuovo e non potete andare in tour per promuoverlo?
È strano, è la prima volta da quando ho 18 anni che sto più di 4 settimane a casa senza suonare dal vivo. Sono passati 3 mesi dal mio ultimo concerto. Nell’industria musicale nessuno ha idea di cosa potrà accadere adesso, le persone sperano che il prossimo anno tutto possa ricominciare, ma non sappiamo neanche se questa situazione porterà a dei cambiamenti permanenti. Per il momento stiamo promuovendo Obsidian con le interviste, ci stiamo preparando per suonare live quando sarà possibile. Personalmente non amo questi streaming shows che adesso stanno andando. Un concerto è un evento che non si limita solo alla performance live, ma inizia quando ti incontri con gli amici e ti fai una birra, cominciando a sentire una connessione con la musica del gruppo. Non sono un fan di queste cose ma capisco perché la gente lo fa, visto che adesso non c’è altra alternativa. Spero che non dovremmo farlo, ma in caso dovremo adattarci. I concerti torneranno, c’è da essere ottimisti e aspettare.
Avete qualcosa di pianificato per il 2021?
In realtà abbiamo qualcosa di pianificato già per il 2020, a settembre dovremmo suonare tutto il disco nuovo per intero.
Farete un release party?
Sì, una cosa del genere. Non sappiamo se si farà, in caso andrà rimandato. A dicembre in teoria avremmo il tour americano, ma non credo si farà. La Nuclear Blast voleva posticipare pure l’uscita del disco a data da destinarsi, ma ci siamo opposti: non si sa quando finirà tutto ciò e volete rimandarlo? Non ha senso, credevamo che fosse giusto farlo uscire per quando è stato pianificato. Non so te, ma io in questo periodo ho letto molti libri, ascolto un sacco di musica…
Io pure! Va anche detto che proprio perché le persone in questo momento hanno più tempo per ascoltare musica, perché non ascoltare dischi appena usciti?
Assolutamente! Assorbo più cose in questo periodo rispetto a quanto faccia normalmente, tra libri, film e dischi. È una cosa positiva il fatto che non abbiamo rimandato l’uscita di Obsidian.
A proposito di progetti musicali, i Vallenfyre sono sciolti definitivamente?
Al momento ho un altro side project, Strigoi, uscito sempre su Nuclear Blast. I Vallenfyre rano un progetto legato alla sensazione che provavo quando è morto mio padre. Volevo porle fine quando quel sentimento era ancora attivo. Una volta terminata quell’esperienza avevo ancora voglia di musica estrema, mi piaceva far parte di quella scena, cosa che ho continuato a fare con Strigoi. Adesso sto componendo nuova roba.
Coi Vallenfyre vi avevo anche visto dal vivo all’Obscene Extreme 2014…
Nel main stage o nel tent stage?
Main stage!
Quel concerto fu ok, ma mi sono trovato più a mio agio quando suonammo sotto il tendone delle birre durante l’after party. Era una dimensione più consona al progetto.
In effetti un gruppo come i Vallenfyre sta meglio in quell’occasione.
Quel gruppo era caotico ed estremo, i palchi più piccoli erano meglio per noi.
Ora poi l’ex batterista dei Vallenfyre è con voi nei Paradise Lost.
Certo! Adrian Erlandsson non riusciva più a star dietro anche a noi (e di conseguenza anche ai Vallenfyre) perché aveva altri progetti a cui dedicava già molto tempo, come gli At The Gates. Ha dovuto dare la priorità ad altro, una cosa molto comune per i batteristi.
Il resto della band è rimasto però sempre uguale per 30 anni. Molti gruppi cambiano formazione mentre voi avete continuato (tranne che per i batteristi) ad essere sempre voi stessi.
L’abbiamo preferito! Ci conosciamo molto bene da tanto tempo, abbiamo lo stesso senso dell’umorismo, siamo cresciuti insieme. È più facile per noi essere sempre gli stessi nel gruppo. Anche il nostro batterista originario sarebbe rimasto nel gruppo se fosse stato un bravo batterista (ride, ndr). Nessuno di noi ha mai avuto un “ego”, è così che i gruppi iniziano a sfracellarsi, quando uno o più elementi si sentono meglio di altri. Nel posto in cui siamo cresciuti è così che funziona: se hai un ego te ne vai via, non ti viene permesso.
Questo spesso rovina i gruppi.
Esatto: in molti gruppi l’ego o i soldi rovinano tutto, ma questo non è il nostro caso. La musica e l’amicizia sono le cose che contano per noi.
Voi siete ancora rimasti tutti ad Halifax?
No! Circa vent’anni fa ci siamo tutti divisi in varie zone. Io sono sempre nello Yorkshire, mi sono trasferito a due ore da Halifax, nella costa est. Nick e Steve sono ancora nella zona ma non in città, Aaron vive a Londra pure lui da vent’anni. Halifax è però rimasta la nostra “base spirituale”, lì abbiamo anche la sala prove.
Quindi fate ancora le prove là?
Sì, in un posto che è a metà tra Halifax e Bradford. Abbiamo la stessa sala prove da anni, che è vicina a quella dei New Model Army. Loro provano nella sala vicino alla nostra da 25 anni.
A proposito di eventi del passato, quest’anno Lost Paradise compie 30 anni. Che ricordi hai del periodo in cui l’avete concepito e registrato?
Devo dire che gli anni passano molto in fretta, sono ormai 32 anni che suoniamo insieme. Obsidian è il nostro sedicesimo disco, ne abbiamo fatto uno ogni due anni quasi. Tornando al primo, ai tempi eravamo giovani e pieni di voglia di fare, eravamo eccitati dall’idea di avere un contratto con un’etichetta e di poter viaggiare. Noi veniamo da un background molto working class: prima dei Paradise Lost non ero mai stato a Londra né ero mai salito su un aereo. Ho veramente dei grandi ricordi, l’uscita dei primi 2-3 dischi fu qualcosa di entusiasmante per me. Poi diventò più dura, perché questo voleva dire andare ancora di più in tour. Iniziai ad essere più cinico quando firmammo per delle major. Adesso è come se il ciclo fosse ricominciato e sono tornato ad essere emozionato.
In passato avete anche fatto degli show dedicati solo a un disco. La prima volta che vi ho visti fu al Fall Of Summer 2016 dove suonaste tutto Gothic, più di recente avete fatto un tour con solo i pezzi di Draconian Times. Pensi che riproporrete l’esperimento per altri dischi?
Non l’abbiamo mai fatto per un tour intero, al massimo per 3 o 4 concerti, perché secondo me dopo diventa meno speciale. L’abbiamo fatto per Draconian Times perché è stato un disco di grande successo, assieme a My Dying Bride e Anathema. Per Gothic ci fu chiesto anche da Roadburn di riproporlo per intero. Non è una cosa che amo fare a dire il vero, ma capisco che magari parte della nostra fanbase era troppo giovane per vederci ai tempi o non ci vedeva da allora. Non sono contrario in sé e per sé, ma fare un tour intero sarebbe troppo.
Anche perché alla fine se continuate a far uscire nuovi dischi è pure perché quei brani nuovi poi li vorreste suonare anche dal vivo.
Esatto! Sono orgoglioso di ogni disco che abbiamo fatto, per noi è importante essere un gruppo di rilievo nella scena musicale e avere qualcosa dire, non provare a celebrare il passato.
Parlando di dischi passati: mentre preparavo l’intervista mi sono riascoltato anche diverso materiale vostro vecchio, in particolare Shades Of God. Non ho fatto a meno di notare come su quel disco (ma anche su Icon) il suono delle chitarre ricordi molto i Trouble, che da sempre sono stati per te una grande influenza. Come sei entrato in contatto con la loro musica ai tempi? Qual è il loro lavoro che preferisci?
Sono stati tra i primi gruppi che ho ascoltato quando ho iniziato col metal, ero più vecchio di altri nella scena perché ero cresciuto in ambito punk. Ai tempi punk e metallari si odiavano, ma a me era permesso uscire coi metallari. Sarà stato intorno all’85-86 che queste scene si sono in qualche modo unite col crust punk e sono arrivati gruppi come gli Hellhammer che avevano un po’ di elementi metal e altri punk. Allora iniziai ad entrare nel metal grazie al primo disco dei Candlemass, al primo album dei Celtic Frost e ai primi due dei Trouble (di conseguenza poi sono arrivati anche i Black Sabbath). Loro però sono stati una grande influenza e penso che The Skull sia il disco che preferisco, ha una produzione più raw. È difficile scegliere trai primi due, la mia canzone preferita rimane “The Wickedness Of Man”.
Da tempo sostengo che “The Skull” come canzone riassuma un po’ tutto il genere e abbia tutti gli elementi per mostrare a qualcuno cosa sia il doom metal.
Sono d’accordo! The Skull è il migliore ma Psalm 9 ha quasi tutti i classici come “The Tempter”. Pure gli assoli sono fantastici. Il mio assolo preferito in assoluto, però, rimane quello di “Crystal Ball” dei Candlemass. Quella canzone mi mostrò come essere un solista, fino ad allora mi ero cimentato solo con le ritmiche.
Prima parlavi dei vari contatti tra punk e metallari: Hammy della Peaceville era un punk agli inizi, è anche stato nei Sore Throat per un periodo. È vero che vi mise sotto contratto dopo avervi visto suonare ad un concerto con Napalm Death e Hellbastard?
Sì, è vero! Andai a vedere il suo gruppo (i Civilised Society) ancora prima che iniziasse con la Peaceville, una sera che suonavano coi Sore Throat forse nel 1985 o 1986. Due anni dopo fondammo i Paradise Lost e ci capitò di suonare con Napalm Death ed Hellbastard. Hammy chi chiese quindi se volevamo firmare per lui. La cosa divertente è che la stessa settimana ricevemmo offerte da Earache e Roadrunner, credo avessero gradito il nostro secondo demo. Ci esaltava molto l’idea di ricevere tre offerte in così poco tempo ma essendo dei ragazzini stupidi decidemmo di firmare per Peaceville solo perché era più vicina ad Halifax (ride, ndr). Fa ridere come cosa, lo so, ma alla fine fummo lo stesso contenti perché Peaceville era quella con un’etica più punk rispetto alle altre due, per di più conoscevamo anche gli altri gruppi che aveva sotto contratto. Aiutammo gli Autopsy a firmare per lui.
Sei ancora in contatto con lui?
No, sono tanti anni che non lo vedo.
Ultima domanda: ascolti qualche gruppo nuovo, e in particolare italiano?
Sì certo! Passo molto tempo su Bandcamp a cercare nuova musica, mi interessa ricevere consigli. La musica più interessante è nell’underground. Uno dei gruppi che più preferisco negli ultimi anni sono gli italiani The Secret, mi hanno mandato diverse magliette perché in un servizio fotografico ne indossavo una loro. Mi piacciono molto gli Atrament. Se hai dei consigli fai pure!
Ti potrei consigliare i Black Oath, sempre dall’Italia: una via di mezzo tra Tiamat, Iron Maiden e tutto il doom italiano.
Me li segno, per me è importante in quanto musicista scoprire nuova roba.