PARADISE LOST, Medusa
Anche quest’anno settembre si porta dietro una temperatura più bassa, che ci conduce pian piano verso l’autunno. È tempo dunque di sonorità decisamente più oscure e sepolcrali, come quelle del nuovo album dei Paradise Lost. La band di Halifax non avrebbe bisogno di presentazioni per i lettori di The New Noise: assieme a My Dying Bride e Anathema sono parte della triade del doom/death inglese degli anni Novanta, uno di quei nomi nati da quello che all’epoca era il sottogenere del metal più popolare (il death metal), ma che poi hanno raggiunto la perfezione stilistica scegliendo la via delle armonizzazioni a due chitarre (tipica dei Trouble) e dei tempi più lenti e incisivi. Un percorso che poi hanno abbandonato gradualmente per abbracciare un sound (e un cantato) molto più vicino alla galassia gothic/dark, persino sintetico verso la fine del millennio precedente e l’inizio del nuovo. Da quindici anni a questa parte però si è verificato il processo inverso: album dopo album, sono tornati verso il tracciato iniziale, fino ad arrivare a questo Medusa, che è senz’ombra di dubbio il loro disco più pesante.
L’ingresso nel roster della Nuclear Blast segna il ritorno più marcato del growl nel cantato di Nick Holmes, che ormai ha quasi del tutto abbandonato la voce pulita, eccezion fatta per la title-track e una molto riuscita – e in stile Type O Negative – “The Longest Winter”. Già con l’iniziale “Fearless Sky” e i suoi otto minuti di durata si ritorna verso la pesantezza che li ha resi grandi, ma tutti i brani sono tutti ben scritti e registrati: belle idee, buona produzione (al passo coi tempi e mai nostalgica) e buona esecuzione. Va bene anche il drumming del nuovo batterista, il ventiduenne finlandese Waltteri Väyrynen. Manca un po’ l’elemento “sensazionale”: se volessimo essere polemici fino in fondo, c’è un po’ il sentore del “compito ben svolto”, cioè di quella riproposizione di un vecchio sound che però alla fine non lascia molto. Ma questo è anche un discorso legato alle aspettative.
Medusa non è Gothic, scordatevi i livelli di grandezza che quel disco vi poteva dare. Però è un prodotto dignitoso, che si lascia ascoltare e che se amate i Paradise Lost non potrà lasciarvi delusi. È un album che fa la felicità di quelli che guardando Host e One Second si sono chiesti il perché di un cambio di sonorità che – a essere sinceri – non ha mai prodotto nulla di grandioso. Insomma, siamo di fronte a un episodio gradevole nel contesto di una discografia importante: lo si ascolta volentieri, ma non lascia nessun segno particolare.
Tracklist
01. Fearless Sky
02. Gods Of Ancient
03. From The Gallows
04. The Longest Winter
05. Medusa
06. No Passage For The Dead
07. Blood And Chaos
08. Until The Grave