PAPIRO, Rise
Siamo sfiniti da sintetizzatori analogici e minimalismi vari, da musicisti attivi in queste zone di suono che più che buone idee hanno buoni PR. Marco Papiro non ha agenti, ma questo suo Rise è ok, fidatevi. A livello biografico so un paio di cose che non influiranno sul vostro giudizio, ma forse incuriosiranno qualcuno: anzitutto stava nei troppo poco considerati Mir, che in Italia conosciamo grazie a Wallace Records; poi è un grafico che lavora anche nel mondo dei dischi (artwork per Panda Bear), il che mi fa interpretare in modo diverso la scelta di una copertina così sotto le righe per quest’album, a meno che lui non trovi sul serio divertentissimo il fatto che di quell’insegna “Enterprise” sopra la giostra siano accese solo le ultime quattro lettere.
“Musica per limbi d’attesa, luci alla fine del tunnel e risvegli vari”, c’è scritto all’interno della confezione: non so se “limbi d’attesa” sia un pensiero di Papiro o di Mr. Solar Ipse (che pubblica il cd), ma è perfetto per l’accoppiata quasi centrale di tracce (“Leossa”/“Fiatina”), sconfortante creazione di vuoto a partire dal suono (sempre cristallino), paradossalmente quella che ti ferma e ti costringe a non fare altro, perché senti che forse il mondo intorno a te sta svanendo, e non è che sia una percezione che hai tutti i giorni: quasi isolazionismo involontario. I primi venti minuti, invece, sono classicissimi – sempre nell’ambito della prima musica elettronica – e danno un’idea di alba e rinascita, al contrario degli ultimi diciassette finali, che ne sembrano quasi il negativo. Un’ora varia, con alcuni momenti d’eccezione e altri più consolatori nel loro andare dove sai già, il tutto sempre ottenuto con poche, sapienti pennellate. Tenete presente l’apertura di questo post, date un ascolto e poi vedete un po’ se avevo ragione.