PAOLO TARSI / FAUVE! GEGEN A RHINO, Dream In A Landscape
Devo ammetterlo: mi sono trovato in una certa difficoltà mentre provavo a scrivere di quest’album. In primis perché non sono un profondo conoscitore di John Cage (e di Marcel Duchamp), e seconda cosa perché non m’aspettavo dai Fauve! Gegen A Rhino una sterzata verso lidi improvvisativi, sempre potenzialmente interessanti quanto scivolosi. Chiaro che la liaison con Paolo Tarsi ha fatto la differenza (lui è uno che viene dalla musicologia, dal giornalismo, e si muove negli ambienti dell’arte contemporanea), per questo non è un caso che il disco sia prima a nome suo e poi del duo Lulli/Gorgone. Tant’è, quello che mi compete in questa sede, e che importa per davvero, è cercare di spiegarvi per sommi capi di che tipo di lavoro si tratta e di dirvi se è valido o meno. I primi tre brani sono delle riletture delle composizioni di John Cage: “Dream” è molto soave, libera nei suoi svolazzi pianistici che arrivano a superare i nove minuti di esercizio, successivamente il pianoforte elettrico, suonato sempre da Tarsi, è ancora il perno centrale della prima parte di “In A Landscape”; anche qui, delicate pennellate di Rhodes che si fanno sempre più eteree e d’un tratto ascensionali, mentre la seconda parte, con l’organo Hammond, pare meno incasellabile, più accigliata e “selvaggia” diciamo, tanto che in diversi frangenti si assiste a un inaspettato aumento di volume dello strumento, e il tutto è piuttosto straniante, va detto. Questa parte del disco è processata in postproduzione dai Fauve!, e si sente che hanno calcato la mano, ma con “rispetto”. Ci sono poi altri due remix: nel primo pare di sentire un Aphex Twin in botta quasi chill out, quindi lieve e ritmico al contempo, nel secondo invece la note si rifrangono idealmente contro uno specchio, e la bellezza del tutto si sostanzia metallica e cangiante. Quest’ultima contiene poi un paio di ghost-track, una dalla vena “aleatoria”, “Erratum Musical” (in origine di Marcel Duchamp), dove si lanciano programmaticamente dei dadi, che risulta più sognante ed articolata, e l’altra (la celeberrima 4’33”) dove si riempie quel tratto di “silenzio” con rumori ed articolazioni sonore particolarmente spiazzanti. Disco, va sottolineato, per pochi coraggiosi ascoltatori.