PAN DAIJING, Lack
Nella produzione artistica di Pan Daijing ritmo e movimento assumono un ruolo di assoluta preminenza. L’artista cinese, che da un paio d’anni vive a Berlino, ha incominciato a danzare all’età di tre anni e oggi la sua attività comprende un misto di musica, danza e teatro. Originaria della zona sud-est del suo Paese, ancora ricca di minoranze etniche e culturali, pare che da piccola Pan non avesse accesso ad internet e che la sua esposizione alla musica occidentale fosse limitata alle hit che riuscivano a penetrare il suo territorio. Più influente sulla sua formazione è stata la musica tradizionale, nelle molteplici sfumature che essa assumeva attorno a lei.
Se un difetto dobbiamo trovare al disco è una certa mancanza di organicità, dato che è praticamente diviso in due porzioni caratterizzate da stili ed atmosfere piuttosto differenti. La prima parte, diciamo le prime quattro tracce, è abbastanza scarna, sembra lasciare a bella posta i nervi scoperti, risentire più della dimensione performativa rispetto a quella destinata all’ascolto; la seconda è più orientata verso un noise ritmico e minimale, ed è caratterizzata da suoni di estrema efficacia. Lack inizia con la voce del soprano Yanwen Xiong che si libra sugli arpeggi bellamente sconclusionati di “Phenomenon”. “A Loving Tongue”, traccia due, è musica per Gamelan sintetici, “Practice Of Hygiene” vede Pan battere i pugni sulle corde gravi del pianoforte mentre un gemito di piacere muta rapidamente in rantolo e quindi in un pezzo di poesia sonora che sa di sberleffo. “Plate Of Order” vede di nuovo l’ingresso in scena della Xiong, questa volta su un sottofondo di scudisciate che dà al lavoro della compositrice cinese una ragione di vita all’interno di casa Pan, accostandolo ad altre cose passate in questi anni sotto le insegne di Bill Kouligas. La traccia numero cinque, “Act Of The Empress” sancisce il cambio di passo e ci riporta alle cose precedenti di Pan Daijing (un nastro del 2015 e un ep uscito qualche mese prima di Lack per un’etichetta di Dubai), sospese fra noise e techno, preservando quella abilità nel giocare con i cambi continui di velocità, principale retaggio esotico e tratto distintivo della musica della cinese. Più di qualche episodio ci conduce dalle parti di Pharmakon e Puce Mary: la traccia sei è fatta di tonfi, metallo e stridore, la sette è ruggiti e latrati elettronici che finiscono per saturare completamente lo spazio acustico. La otto, “The Nerve Meter” finisce per essere essenzialmente un esercizio stilistico su sintetizzatore detuned, noiosetta in verità; “A Situation Of Meat” è di nuovo lo stridere del metallo che stavolta va a infrangersi sulle corde gravi del pianoforte pompate con il sustain. “Lucid Morto”, l’episodio finale (oltre che il più interessante del lotto), si rifà tanto al minimalismo di Riley quanto al Giacinto Scelsi dei “Quattro Pezzi Su Una Nota Sola”: un bordone d’organo su cui si imperniano svolazzanti elucubrazioni.
L’immagine di copertina – opera di Ralf Marsault, il quale cita apertamente una foto di Man Ray del 1929 – ritrae Pan mentre, testa reclinata sulle spalle, sembra offrirci la giugulare: un riferimento al concetto di vulnerabilità che ritroviamo in parecchi lavori analoghi in cui sonorità estreme si legano ad un aspetto catartico e terapeutico. In definitiva i momenti più godibili di Lack rimangono proprio quelli in cui il rischio del “già sentito” sfiora i livelli di guardia.
Quello di Pan Daijing sembra un lavoro di ricerca che si estende in più direzioni, a cui si fa un po’ fatica a stare dietro e di cui spesso sfugge il senso, un’esplorazione musicale che, nelle parole della stessa, è ancora nelle sue prime fasi (“I still feel like I’m at a very early stage in what I do” dichiarava qualche mese fa in un’intervista suWire), intorno alla quale si è sviluppata grande curiosità, ma noi aspettiamo volentieri ulteriori e più compiute evoluzioni.