OVO, Miasma
Seguo gli OvO da molto tempo e per me hanno sempre evocato l’immagine di un futuro distopico in cui uomini e macchine si fondono e la società si ricompatta attorno a forme di neo-primitivismo, un po’ come in quei film post-apocalittici alla Mad Max. Insomma, sarà colpa della batteria di Dorella o delle vocals della Pedretti, ho sempre associato la band ad un immaginario molto simile a Mutonia e a strutture bio-meccaniche in cui carne e metallo, organi ed ingranaggi si fondono. Con il nuovo Miasma questa sensazione raggiunge l’apice e sembra fotografare perfettamente il mood dell’album e gli scenari nei quali i due si vanno a muovere, con la visione di un virus che aggredisce l’umanità e degli outsider in prima fila per combatterlo, ovviamente una metafora di quanto accade oggi, un periodo in cui il virus più contagioso non è quello proveniente dall’Oriente ma la paura alimentata ad arte e strumentalizzata a dovere. Per dar vita a tutto questo, gli OvO hanno utilizzato sample creati dallo stesso Dorella e dagli amici Eraldo Bernocchi, a034, Ripit, Paolo Bandera e Matteo Vallicelli, e da questi sono poi partiti per costruire i loop e i pattern ritmici da cui hanno preso forma finale i brani dell’album. Il risultato di questo procedimento è un disco che colpisce per la sua natura tattile, quasi si potesse toccare con mano il suono e plasmarlo come creta, anzi come si trattasse di una sostanza maleodorante che cola dalle casse. In questo, gli OvO riescono a riprodurre perfettamente la sensazione di un morbo che si sparge e donano all’ascoltatore una versione quanto mai cruda, primordiale e spogliata da ogni suppellettile inutile del loro suono, quasi un ritorno alle radici in cui ogni aspetto caratteristico del loro linguaggio prende la sua parte di ribalta e si mostra senza veli. Così, ci troviamo a passare da un’elettronica cruda, ruvida, essenziale, alla carica conflittuale del punk nella sua forma più iconoclasta e feroce, il tutto sovrastato da ritmiche pulsanti e da una voce perfettamente a proprio agio nel ruolo di sciamano cui è affidato il racconto epico della lotta al virus. Difficile negare a Miasma un valore aggiunto, cioè quello di portare in sé l’immagine di una band che ha deciso di affondare il colpo fino all’elsa, così da lasciare che tutta l’energia e la rabbia fluiscano copiose dallo stereo a prendersi la scena senza chiedere il permesso. Verrebbe da definirlo un disco hardcore, figlio di una pulsione al confronto e ancor più allo scontro, sebbene sia anche un lavoro ricco di sfumature differenti e di improvvisi cambi di scenario, come intuibile anche dagli ospiti (Årabrot, Gnučči e Gabriele Lepera), tanto diversi tra loro quanto efficaci nel contribuire alla riuscita del disco. Poco altro da aggiungere, se non che a giudizio di chi scrive questo appare come uno dei dischi più completi e a fuoco realizzati dalla band, soprattutto capace di lasciare addosso un senso di sporco e di disagio una volta finito l’ascolto, proprio come dovrebbe accadere quando si ha a che fare con qualcosa di reale e sentito anziché con un prodotto pre-confezionato.