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OTTONE PESANTE, Doomood

Nel giro di cinque anni gli Ottone Pesante (Francesco Bucci e Paolo Raineri ai fiati, Giuseppe Mondini alla batteria) si sono rapidamente affermati come uno dei “nomi grossi” del nostro underground, diventando una presenza fissa sui palchi italiani e arrivando persino ad esportare il loro personalissimo “brass metal” all’estero.

Questa idea di musica, senza dubbio inusuale nell’aspetto ma non nella forma (le composizioni ricalcano ed omaggiano le trame del metal e le sue derivazioni), è stata la carta vincente per conquistarsi l’apprezzamento di un pubblico eterogeneo e riuscire ad emergere dal fitto sottobosco di proposte spesso o troppo generaliste o eccessivamente audaci. Il loro cammino giunge così felicemente al terzo capitolo: dopo i positivi Brassphemy Set In Stone e Apocalips, ecco Doomood, ennesimo connubio di bizzarrie sonore, pesantezza metal e suggestioni apocalittiche.

La formula ovviamente non cambia: ad affiancare le percussioni imperiose di Mondini non ci sono riff di chitarre zanzarose e ruggiti di basso elettrico, ma tromba e trombone che si inseguono e si allacciano convulsamente, con l’aggiunta del saltuario apporto delle voci di ospiti chiamati ad arricchire alcune delle dieci tracce del disco, e tra questi ultimi spicca l’intervento di Sara, vocalist dei compagni di etichetta Messa, nel meditativo singolo “Tentacles”.

Com’è facilmente intuibile dal titolo, rispetto ai lavori passati gli Ottone Pesante rallentano i ritmi e puntano sulle atmosfere oscure e sacrali del doom metal, benché non manchino le consuete incursioni in territori ancora più estremi, come accade in “Serpentine Serpentone”, brano dove blast-beat black metal e lo screaming del secondo ospite (Silvio, voce degli Abaton) ci trascinano negli abissi.

La sensazione di partecipare ad una sorta di maligno rituale lovecraftiano (se non di essere stati catapultati direttamente nel bel mezzo della corte di Azathoth) è amplificata dalla frequente ripresa del tema principale su diverse tonalità, ritmi o ribaltandone la sequenza: come afferma la band, l’intero album è stato composto in maniera palindroma, come se ci fosse uno specchio alla sua metà.

Si tratta del primo album degli Ottone Pesante sotto etichetta (e che etichetta: Aural Music!) e fa piacere notare che la cosa non ha in alcun modo ingentilito il sound del terzetto: il disco procede senza scossoni lungo la strada tracciata in passato e appagherà sicuramente i fan, tuttavia la spontaneità degli inizi viene un po’ a mancare, forse per la scelta di realizzare qualcosa di più concettuale e meno anarchico. Insomma: Doomood suona bene, suona forte e suona proprio come ci si aspetterebbe, e forse l’unico difetto è proprio questo, perché ciò che era avvertito come stravagante cinque anni fa ora non ha più lo stesso impatto.