OSLO TAPES, Ør
La Norvegia ha sempre popolato l’immaginario di artisti, musicisti e scrittori come luogo dalla bellezza mozzafiato, dove paesaggi estremi e giochi di luce si incontrano, creando sempre un certo stupore: basti pensare ai fiordi e alla loro struttura peculiare o alle luminose notti estive (specie nel nord del paese), o ancora all’aurora boreale.
In questo caso, la capitale ha lasciato il segno: paesaggi urbani ma non troppo, dove spinte verso l’innovazione e il futuro convivono con una natura imponente, generando nei visitatori un potente mix di sensazioni. Marco Campitelli, fondatore degli Oslo Tapes, band attiva dal 2010, omaggia la città includendo nel nome un chiaro riferimento alle audiocassette, ormai simbolo di un’epoca, e tutt’ora considerate il pilastro della formazione musicale di molti della sua generazione. La band è attualmente al terzo album: Ør è uscito il 4 giugno 2021, sulla prestigiosa label berlinese Pelagic Records, registrato da una nuova formazione e, per la prima volta, i testi in lingua inglese. Fortemente influenzato dal jazz norvegese e dal krautrock anni ’70, oltre che dal noise e dallo shoegaze, Ør è un album complesso, stratificato, ma a suo modo orecchiabile e molto evocativo.
Il titolo stesso, la cui traduzione corrisponde a grandi linee al termine “vertigine”, riassume in modo abbastanza accurato le sensazioni che le otto tracce del disco sono in grado di suscitare nell’ascoltatore.
Il nuovo batterista Davide Di Virgilio e una produzione a più mani (tra cui spicca Amaury Cambuzat degli Ulan Bator, che ha curato anche il mastering e che ha collaborato con la band anche in passato) hanno contribuito a creare un distacco abbastanza netto dai due lavori precedenti: sono trascorsi sei anni da Tango Kalashnikov e otto dall’esordio, quindi non c’è da stupirsi se, complice il tempo, ci siano stati dei cambiamenti sostanziali. Vi è un distacco soprattutto da quella scena alternativa italiana che ha fatto da padrona nei primi 2000, per dare spazio a un approccio più internazionale ma non “manieristico” od ottusamente nostalgico. Ør è un’esperienza extrasensoriale: da “Space Is The Place” a “Obsession Is The Mother Of All”, passando per “Bodø Dakar” e “Norwegian Dream” l’ascolto risulta simile a un viaggio (attraverso lo spazio profondo fino a paesaggi terreni sempre pregni di una forte componente onirica) soprattutto grazie a un elemento percussivo tanto ossessivo quanto ragionato.
Le aspettative per prossima mossa sono, dal canto mio, molto alte, ma nell’attesa anche di un ritorno sui palchi, Ør è davvero un’ottima colonna sonora.