ORTEGA, Sacred States
Dal 2007, gli Ortega sondano i meandri più oscuri dell’animo umano, attraverso un acid doom metal tinteggiato con qualche pennellata di progressive e space rock anni Settanta. In questo secondo lavoro, un’oretta abbondante di musica suddivisa in sei brani, il gruppo prova a chiudere il cerchio. Riuscendoci magnificamente. Un suono rotondo e robusto, in cui spaziano senza limite alcuno verso territori sconosciuti.
Sarà molto facile perdersi nei meandri di queste composizioni, congegnate in maniera superlativa, attraverso un multistrato vivido e pulsante. Tra sogno e realtà, questo disco si dipana in maniera mastodontica e monolitica, incanalando sensazioni ed emozioni che poi esplodono in un magma incandescente. Gli undici minuti e mezzo dell’opener “Strong Eye” si dipanano in maniera eccellente, regalandoci un ipotetico ponte di collegamento fra noi ed il gruppo, che mette subito in chiaro quali siano le sue intenzioni: aprirci la mente tramite la sperimentazione di suoni lucenti e vividi, in continua evoluzione. Evoluzione che prosegue in maniera crescente e ammaliante per tutto il disco, toccando punte altissime in un brano come “Crows”, che con i suoi quasi diciannove minuti è quasi un disco nel disco stesso, come se gli Ortega avessero voluto farci accedere per un momento a un altro universo che magari verrà sviluppato in future release. Perché il bello di questo disco è il fatto che presenta molteplici punti di accesso, le cui chiavi vanno localizzate attraverso un ascolto attento e investigativo. Non si può lasciare nulla al caso in Sacred States, perché così facendo sì sminuirebbe un platter complesso e affascinante.