ORANSSI PAZUZU, Muuntautuja
Non siamo tutti chi un po’ più o chi un po’ di meno / siamo tutti tutti tutti completamente pazzi, diceva Capovilla col Teatro Degli Orrori, e non aveva ancora ascoltato gli Oranssi Pazuzu.
Per essere al passo col resto del mondo, la recensione doveva uscire due settimane fa, ma temo di non aver capito mezzo cazzo di Muuntautuja (“mutaforma”), che proprio per questo è un disco fantastico. Ci sono grossomodo due tipi di pezzo in Muuntautuja, che – sì, è vero – è più elettronico dei suoi predecessori e in qualche modo che non mi è chiaro (perché non so suonare) non sembra sempre costruito da musicisti rock, ma del resto la band non ha mai nascosto di basarsi spesso su improvvisazioni, così come a pensarci bene non ha mai fatto finta di non essere influenzata dal kraut e dunque da un certo certo tipo di roba alla base di tanta c.d. musica elettronica. Il primo tipo di pezzo è quello matto mattissimo come Robin Williams da giovane, spinto dal basso o dal synth che fa il basso, traboccante rumore e una voce scorticata, squarciato all’improvviso da eccezionali riff primitivi, per certi versi accostabili a quelli black metal, ma è vero fino a un certo punto. Ok, ci sono stati i Dodheimsgard di 666 International, ma si vede che sono passati 25 anni, perché oggi gli Oranssi Pazuzu possono andare oltre, basare tutto sul groove (come i Manes di Vilosophe) e non farsi problemi a invadere ogni frequenza uditiva possibile, come se fossero i The Body o i My Bloody Valentine. Il secondo tipo di pezzo, che di solito arriva a farci riprendere fiato dopo il primo, è quello più lento, più atmosferico, psichedelico, buio (nel senso di buio dello spazio profondo), per cui l’etichetta ha addirittura tirato in ballo il trip hop, che può starci come lontano termine di paragone per dare un’idea del tipo di “passo” che hanno i brani. O forse qualcuno stava pensando a “Machine Gun” dei Portishead, e allora quasi quasi ci sto.
La verità è che se non si sovranalizza e se non si hanno aspettative metal in senso stretto, è sufficiente che per un attimo le difese dei pregiudizi si abbassino e da lì è tutta una discesa. “Basta un solo giorno sbagliato per portare il più sano degli uomini alla follia. Ecco quanto è lontano il mondo da dove sono io. Un unico giorno sbagliato”. Così, più o meno, dice il Joker di Alan Moore: credo valga anche con questi Oranssi Pazuzu.