ORANSSI PAZUZU, Mestarin Kynsi
In un 2020 pieno di sconvolgimenti di ogni sorta, nel corso del quale il mondo della musica sta attraversando un periodo di grandi incertezze, non mancano però le notizie positive: nel bel mezzo della quarantena ci ritroviamo tra le mani una nuova uscita degli Oranssi Pazuzu. I lettori più attenti si ricorderanno di come, quattro anni fa, fummo molto colpiti da Värähtelijä, sostenendo come il loro “kosmische metal”, oltre ad essere incredibilmente personale, spazzasse via buona parte del revival psichedelico di quegli anni. Auguravamo loro ancora più successo, ed eccoli qua con un nuovo disco sotto Nuclear Blast, che come ben sappiamo è una delle etichette più grosse alle quali musicisti del genere possano ambire.
Questo nuovo Mestarin Kinsy continua il loro discorso artistico, ma con alcune differenze. La componente black metal, pur sempre immersa in un mare di riverberi e dissonanze, è qui più presente. Non tanto nei riff, quanto nella massiccia quantità di screaming nelle voci. Il sound in generale si è fatto un po’ più oscuro, come si può evincere anche dal video girato per “Uusi Teknokratia” (per quanto, ovviamente, possibile da una band del genere, che continua a guardare soprattutto alla psichedelia). I brani si confondono ancora di più l’uno con l’altro, ma la durata complessiva del disco è inferiore rispetto al precedente (“solo” cinquanta minuti, contro l’ora e dieci di Värähtelijä). Notiamo però una produzione più curata che rende più onore alla band. Ci sono degli episodi più interessanti di altri, come “Tyhiyyden Sakramenti” e l’arabeggiante “Oikeamielisten Sali”, scandita da una forte presenza degli archi. Il finale è affidato all’ossessiva “Taivaan Portti”, che a tratti risulta un po’ troppo pesante da digerire.
C’è chi sostiene che con questo album si siano superati: è una cosa che qua invece non ci sentiamo pienamente di confermare. Mestarin Kynsi è molto bello e molto valido, e ribadisce come gli Oranssi Pazuzu siano un gruppo fenomenale e ben lontano dall’aver esaurito le cartucce. È un album più dilatato e meno scorrevole del precedente, che a detta di chi scrive rimane forse il loro migliore. Ma è difficile dirlo con certezza assoluta in quanto anche qui il livello generale rimane molto alto.
Senza dubbio, in un periodo del genere, è un estremo piacere che il quintetto finlandese si sia fatto risentire con un lavoro che conferma il loro stato di salute e che molto probabilmente sarà anche nella top ten dei migliori dischi del 2020.