OOOPOPOIOOO, Elettromagnetismo E Libertà
Secondo disco dal titolo futurista – dopo l’omonimo esordio del 2015 – per OoopopoiooO, l’impensabile, imprevedibile e vulcanico duo di Valeria Sturba e Vincenzo Vasi, un musicista imprendibile e multiforme che abbiamo visto dal vivo da poco con la prima del suo nuovo progetto Vasi Comuni Canti, e per il quale non abbiamo timore di utilizzare un parolone: genio. Elencare nel dettaglio tutti gli strumenti suonati dal folle (nel miglior senso del termine) riminese occuperebbe mezza recensione, comunque si parla di voce, theremin, basso, giocattoli e oggetti, e lo stesso vale per Valeria Sturba (idem come sopra: spiccano il violino, oltre a un fantastico rosario elettronico e barattoli di tisane a chissà quali erbe). Uno strambo, glaciale e suadente electro-pop per l’anno 3080 apre il sipario su questi mondi bizzarri, ma forse vagamente meno alieni che in passato: è il profilo de “Lo Sconosciuto” che ci si para dinanzi. Nel primo disco veniva largamente esplorato qualcosa di cosmico e astratto, a questo giro di giostra invece parliamo di una musica che continua ad avere fortissima connotazione ludica (del resto sappiamo bene che “il gioco è una cosa seria. Anzi, tremendamente seria”, come diceva Jean Paul), ma il cui focus, sempre lievemente strabico, è stavolta più concentrato sulla forma canzone. Una canzone sui generis, un pop lievissimo, ironico e delicato, cantato in finto francese (Misika, con Giorgio Pacorig al fender rhodes), come un pezzo di un Gainsbourg alieno. Se la voce di Valeria Sturbi può far tornare in mente una Kazu Makino meno svenevole e più virtuosa (almeno quando si arrampica sulle note più alte), quella di Vasi è una maschera: “Il Topolino Va” è una canzone anni Cinquanta (il caratteristico timbro retrofuturistico del theremin compare per la prima volta qui) che sembra provenire da un carosello scritto da autori sotto lsd, mentre “Dai Topich” ne è l’ideale prosecuzione quando i direttori del programma sono tornati a casa ed i musicisti sono liberi di sfogare la loro sanissima follia negli studi di registrazione di una Rai che non c’è più da una vita. Si respira un’aria di libertà assoluta, di creatività, come poteva essere quella che faceva vibrare le pareti dello studio di fonologia di Milano aperto dal 1955 al 1983 su idea di Luciano Berio e Bruno Maderna. Non ci sono però qua solo ostici esperimenti che richiedono orecchie spericolate allenate alla deriva, ma anche gentili miniature che il duo sa porgere con una leggerezza tutta calviniana (“OOPArt”, una specie di numero lounge per un pianeta che non conosciamo). Ci si perde volentieri negli spazi siderali di “Spacsio” o nelle astrazioni out di “Bar Berio” (i collage dadaisti di Okapi qua sembrano un riferimento plausibile). Molto convincente l’incontro tra la forza arcaica del dialetto meridionale e un lo-fi scintillante e volutamente zoppo di “PerDono”, con Max Princigallo che declama una sua poesia e una strofa che riporta a galla dure memorie di gioventù (“Non sono anonimo. Mio padre mi chiamava OH”), lo stesso vale per “Rosafunky”, dove Vasi fornisce (ma non ce n’era bisogno) ulteriore prova del suo luminoso e stranito magistero nel dare voce ai giocattoli, nel creare minisinfonie che saltano come una pallina del flipper da un’atmosfera ad un’altra. Una specie di circo glitch surreale, come togliere alle ansie iperconnesse degli Autechre quella patina di freddezza che le avvolge per restituirle alla dimensione primordiale e necessaria del gioco. Il tutto tenendo dritta la barra di un groove storto e pazzerello, mentre suoni di ogni tipo fanno capolino sulla scena, come in un teatro dell’assurdo o in un cinema di inizio Novecento. Sono accoglienti, le acrobazie di questo dio di talentuosi scappati dal manicomio, però: dalla nenia pellerossa di “Toki” alla cover (con la presenza al charango di Horacio Duran di Inti Ilimani) del grandissimo cantautore cileno Victor Jara, che pagò con la vita l’opposizione a Pinochet. Sicuramente se i tipi della Sublime Frequencies la ascoltassero, farebbero un balzo sulla sedia. Musiche belle e possibili come i giocattoli dell’era pre-digitale, perfetto contro(bel)canto italiano alla lucidissima follia di un leggendario outsider come Moondog. Come recita la title-track in chiusura, firmata dal violoncellista Tristan Honsinger, Elettromagnetismo E Libertà è un inno cantato da e rivolto a spiriti liberi: la terra conferma/gravità/lo spazio nel buio è/essenza/la vita è nostra/sofferenza/celebrare è volare/senza corpo è la morte/siamo già lì.